PASSEGGERE: credete che sarà felice quest’anno nuovo?
VENDITORE: Oh illustrissimo certo sì
PASSEGGERE: Come quello di là?
VENDITORE: Più, più, illustrissimo.(G. Leopardi, Operette morali, 1988 Mondadori Milano p. 252)
Per secoli gli uomini si sono domandati come prevedere il futuro, ed è così che si sono propagati per il mondo migliaia di maghi, indovini, cartomanti. È un po’ così che sono nate le religioni, anche; ma come ricorda Frazer nel Ramo d’oro, il religioso parte dagli stessi problemi del mago e arriva a soluzioni opposte: il mago non è un custode della natura, non ha quella riverenza che invece caratterizza il religioso. Il mago è colui che invece cerca di svelare il mistero della natura per impossessarsene. E un mago particolare è colui che si occupa di prevedere il futuro.
Anche in Cina gli uomini hanno cercato di comprendere il futuro, e anzi, questa pratica doveva essere di fondamentale importanza, visto che uno dei maggiori classici della cultura cinese è proprio un testo oracolare, l’I Ching: il libro dei mutamenti. La sua origine affonda nei millenni della protostoria cinese, e non si saprà mai chi l’abbia scritto davvero.
Chiunque l’abbia composto, è sicuramente un testo sorprendente. A noi sembra più un gioco di società che un libro, e questa dimensione ludico-ricreativa è forse quella che viene più spesso contrabbandata dagli editori: forse infatti avrete già sentito parlare di quel tale libro cinese in cui bisogna fare una domanda, lanciare tre monetine e fare vari segni su un foglio prima di avere una risposta. Ecco, l’I Ching è proprio quel libro. Ma procediamo con calma.

Il testo si presenta nelle nostre librerie come un tomo di dimensioni considerevoli, almeno nelle edizioni migliori, come l’Adelphi. Ma il testo vero e proprio non è così imponente. Anzi, è semplicemente un elenco di responsi: un titolo, come può essere ad esempio “Il creativo”, oppure “L’emendamento delle cose guaste” o ancora “la ragazza da marito”, accompagnato da una sentenza. Cosa rende quindi così interessante questo testo, al punto da essere giunto fino a noi, al punto da giustificare pagine e pagine dei commentatori antichi e moderni, ed essere per di più studiato da esimi professori come Jung? Tutto il mondo di cose che sta dietro ai responsi, il significato simbolico e cosmologico dell’oracolo e il fatto che questo benedetto oracolo, in una certa maniera, funziona davvero.
Ci si può accostare in due modi. Si può prenderlo e consultarlo subito, metterlo alla prova, e lasciare che sia lui a mostrare il suo carattere, come una persona viva, oppure si può studiarlo, leggerlo attentamente, leggere cosa scrive il professor Jung, e poi alla fine, arrischiarsi alla divinazione. Non vi è un modo giusto e uno sbagliato. L’importante è giungere ad entrambi: la pura consultazione divinatoria è divertente, permette di entrare in relazione con lo spirito del testo, ma solo uno studio consapevole permette di conoscerlo e apprezzarlo davvero. È un testo antico, di 2500 anni, e dobbiamo calarci nell’atmosfera e nella vita della dinastia Zhou, quella in cui visse il grande Confucio. Bisogna calarsi tra questi regni in lotta tra loro, in queste campagne sconfinate e in queste città brulicanti di politici e funzionari, che avevano bisogno di un responso per la loro guerra, per le loro operazioni economiche. Ma anche l’innamorato che vuole sapere se la sua ragazza è quella giusta, e il povero contadino che vuole conoscere qualcosa di più del suo futuro.
All’I Ching si può chiedere di tutto, si può porre qualunque domanda. Sarà lui a decidere se rispondere o no e se sei la persona giusta per quel responso. Proviamo. Sediamoci ad un tavolo sgombro e saggiamo il tomo verde che abbiamo tra le mani. Abbiamo a disposizione due modi per consultarlo: o una complicata (ma affascinante) procedura di conteggio e riconteggio di cinquanta steli di millefoglie, oppure il più banale (ma utilizzato in Cina da secoli) lancio di tre monetine. Il primo metodo è sicuramente il più filologicamente corretto: chi abbia tempo e voglia può raccogliere una cinquantina di millefoglie, che sono quelle piantine che crescono nei prati con tanti fiori bianchi piccolissimi tutti vicini l’uno all’altro come delle nuvolette. Li avrete visti sicuramente. Noi, un po’ più pigri, ci accontentiamo delle monetine.

Allora, lanciamo. Dobbiamo formare un esagramma, cioè un disegno di sei linee, che possono essere intere o spezzate. Di norma se esce croce consideriamo una linea spezzata, se esce testa una linea intera. Le monetine sono tre e vanno lanciate insieme: se due escono croce e una testa, si conta una linea spezzata; al contrario, una linea intera. Se tutte e tre escono croce e tutte e tre escono testa, allora quella va contata sia spezzata sia intera: è una linea mutevole. Dopo ogni lancio, tracciamo la linea su un foglio, dal basso verso l’alto. Al sesto lancio, abbiamo completato il nostro bell’esagramma, e possiamo leggerci il responso sull’I Ching.
Perché un metodo così complicato? Non bastava, che so, aprire a caso il libro, o un semplice testa o croce? No, non bastava. L’esagramma non è un mero strumento per pervenire al responso, ma una rappresentazione dell’attuale situazione di chi lo chiede. Le linee intere e spezzare rappresentano il continuo intersecarsi di yin e yang, il continuo mutare delle cose, come il fuoco che è sempre in movimento pur rimanendo sempre se stesso. L’esagramma è dunque una combinazione di opposti, come un organismo composto da atomi. Chi ha pensato il Libro dei mutamenti, infatti, aveva questa strana idea in testa: che la realtà fosse un flusso ininterrotto di cose, oggetti, esperienze, spiriti maligni e benigni, e che quindi fosse necessario prevedere questo flusso per poterlo mutare. L’idea è strettamente collegata al taoismo: il Tao, cioè la Via, non è una via costante, dice il Tao Te Ching. L’essenza del mondo sta nella sua incostanza, nel suo mutamento.
Non esiste un responso positivo o uno negativi: tutti 64 gli esagrammi hanno caratteri positivi e negativi. O, meglio ancora, il positivo e il negativo non sono categorie valide per analizzare un esagramma. Ciò che conta, infatti, è il passaggio da una situazione negativa a una situazione positiva o viceversa. Il responso non dice «Sarai felice perché…» o «Sarai infelice perché…»: non è un oroscopo, ed è per questo che è interessante. L’idea di fondo del pensiero cinese è che il continuo scorrere del mondo non sia completamente aleatorio, casuale, bensì sia il continuo rompersi e nascere di una nascosta armonia. È quell’armonia che l’I Ching cerca di catturare.
Gli studi di Fenellosa, un insigne orientalista di inzio secolo, hanno mostrato infatti che la stessa lingua cinese è estremamente attenta all’instante, al passaggio del tempo, al trasmutare. Nell’I Ching questo è esemplificato dalle linee mutevoli. La linea mutevole, come dicevamo, nasce quando tutte e tre le monete sono croce o tutte e tre sono testa. In questo caso l’armonia dei due terzi (due croce e una testa, o viceversa) si rompe e siamo di fronte a un fatto nuovo, un «varco tra le maglie», come potremmo dire montalianamente. Questa rottura dell’armonia fa sì che la linea sia contemporaneamente spezzata e intera. E dunque dobbiamo costruire due esagrammi, e analizzarli entrambi. È il passaggio dal primo al secondo a costituire il responso.
Dunque è la complessità dei responsi e la loro molteplicità a costituire l’universo dell’I Ching: il compito dell’uomo è mettere insieme cose diverse e dar loro un senso, secondo i saggi taoisti. E anche nell’I Ching il mago che officia il responso deve essere in grado di fare lo stesso.
E infine, in un certo senso, l’oracolo funziona. Non nel senso che ci dica davvero il futuro (su questo non si può giurare ma si dovrebbe avere almeno il dubbio) ma nel senso che i responsi dell’I Ching sono costruiti con metafore eterne, primordialmente eterne e dunque valide fino alla fine dei tempi. Come ricorda Terzani in Un indovino mi disse, un oracolo deve insomma essere universale ed eterno, perché tutti vi si possano riconoscere.
E qui si potrebbe gridare al trucco. Eppure non c’è trucco. O meglio, c’è il medesimo trucco di alcuni quadri che sembra che guardino sempre l’osservatore, qualsiasi sia la posizione in cui si trovi. E’ un trucco dettato dalla larghezza dell’occhio dipinto, eppure il trucco funziona perfettamente e lo spettatore ha perfettamente la sensazione di essere guardato. Allo stesso modo il fruitore dell’I Ching, se pensa attentamente alla sentenza, o se magari la conserva per poi riprenderla dopo qualche anno, avrà la medesima sensazione. L’oracolo non avrà fallito. E questo proprio perché il responso dell’I Ching non è un responso qualunque.
Infatti l’I Ching (come, in un certo senso, l’haiku) intende fotografare, catturare l’istante in cui usufruiamo di esso tramite le monetine o tramite le bacchette di millefoglie, e in quell’istante capire la situazione in cui siamo, e solo allora ci potrà dire come si evolverà. L’intento dell’I Ching è quello non solo di predire il futuro, ma anche il presente che è collegato ad esso. Ed è per questo che, per un cinese del II secolo a.C. l’oracolo valeva comunque anche se dà ogni volta una risposta diversa: perché diversi sono i momenti e le situazioni in cui è stato consultato e dunque diversi saranno i futuri a cui il fruitore sarà destinato. È l’evoluzione che conta, il mutamento della realtà che genera migliaia di futuri possibili. Ecco che l’oracolo, in un certo senso, ha davvero funzionato.
Il cinese del II secolo a. C. avrà dato il merito di ciò alle forze spiritiche che pervadono il libro e lo rendono un’entità viva; noi daremo con più probabilità il merito all’ignoto autore e alla sua capacità artistica di creare in un libro un universo-mondo speculare all’idea di mondo taoista-confuciana in cui nulla è irrelato, ma tutto concorre a formare un universo in un continuo fluttuare. Un universo non provvidenzialistico, non chiuso dal destino, bensì sempre modificabile pur in una sua intrinseca, quasi inconcepibile, coerenza.