La Stand-up Comedy e le Lezioni Americane di Calvino: un matrimonio possibile

stand-up comedy

Quest’estate, reduce da un duro esame universitario, ho deciso di dedicarmi a letture di piacere che per ovvi motivi avevo dovuto rimandare. Tra queste ce n’era una in particolare, della quale vi vorrei parlare oggi. Lezioni Americane di Italo Calvino. Un saggio sul futuro della letteratura in una società in via di trasformazione. All’interno dell’opera, il grande intellettuale italiano trascrive le sei conferenze che avrebbe dovuto tenere all’Università Harvard, Cambridge, nel Massachusetts, nel 1984. La tematica riguardava i valori letterari da conservare per il millennio successivo. Il libro uscì nel 1988 postumo e delle sei lezioni ce ne rimangono solo cinque, ma la loro importanza culturale e letteraria resta comunque inviolata. Ogni conferenza era incentrata su un valore, una qualità della scrittura, e queste sono la leggerezza, la rapidità, l’esattezza, la visibilità e la molteplicità.

Nel mio precedente articolo, ho cercato di fare una panoramica storica sulla stand-up comedy. Non avrei scritto neanche una riga senza l’aiuto di un libro: Stand-up Comedy, Un nuovo genere letterario di Eddie Tafoya. Come dice il titolo stesso del volume, l’autore intende donare alla stand-up comedy una dignità letteraria. Qualcuno potrebbe non essere d’accordo, per carità.

Ma la domanda che il sottoscritto si è posto è: fingendo che la stand-up comedy sia a tutti gli effetti un genere letterario, potremmo trovare corrispondenza con i precetti calviniani? In altre parole, c’è un monologo o uno spettacolo intero nel quale potremmo trovare leggerezza, in un altro esattezza ecc.? Ho fatto una ricerca.

Michelle Wolf e la leggerezza di Joke Show

La leggerezza, guardando a una delle definizioni date da Calvino, è «guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica», cercare quindi, una via diversa rispetto al pesante.

Una costante che forse ha accompagnato qualsiasi periodo storico è che ci siamo trovati davanti sempre a qualcosa da “alleggerire”. Oggi sicuramente un peso che sentiamo particolarmente è quello della discriminazione di genere e simili. Le differenze, non più viste come tali, ma come un prezzo da pagare. Di situazioni simili se ne potrebbero dire e pensare molte, ma ora l’unica che mi viene in mente ha un nome e un cognome specifici: ciclo mestruale.

Adesso qualcuno di voi potrebbe chiedermi cosa c’entra con il saggio di Calvino e la stand-up e io vi risponderei che non avete visto Joke Show su Netflix e non avete sentito la voce stridula della comica Michelle Wolf che immagina un universo parallelo nel quale sono gli uomini ad avere il ciclo giocando con grande ironia su dolore fisico e non solo che affligge lei come molte altre regolarmente. La tematica apparentemente leggera scardina un tabù che influenza sia le donne che gli uomini creando, come tutti i tabù, difficoltà e imbarazzo. La comica sposta l’asse del problema conducendolo anche nel territorio maschile. Il divertente ribaltamento scaglia con grande irriverenza una freccia a favore della comprensione e, in alcuni casi, della sensibilizzazione nei confronti del “problema” da parte degli uomini.

Parlarne in modo così leggero e scanzonato, al microfono, con una sala piena di persone che si divertono, sembra un bel modo per rompere il ghiaccio sull’argomento.

Ora, rileggete le parole di Calvino e ditemi se non è leggerezza questa…

La rapidità e le scomposizioni di George Carlin

Nei primi anni settanta, la WBAI un’importante società radiofonica americana aveva stilato una lista di parole, sette per la precisione, che non potevano essere dette poiché considerate inappropriate e scabrose. Una loro eventuale presenza sarebbe stata immediatamente censurata con beep.

Nello stesso periodo, il grande e compianto George Carlin, pensò bene di buttare giù qualche riga sulla cosa. Quello che uscì fuori fu una corrosiva routine performata in diversi contesti da Carlin di cui ci rimane una splendida testimonianza audiovisiva nel suo spettacolo Again! del 1972. Carlin prende quella lista la straccia, la scompone, ne mostra con mimica e movenze da giullare moderno la moralistica assurdità parola per parola senza mai sbagliare un colpo. Guardando il monologo percepirete certe volte, il minuzioso e lento lavoro che lo ha preceduto, ma allo stesso tempo vi sembrerà che Carlin abbia avuto in bocca quelle parole da quando è nato.

Questa per Calvino è la rapidità, un messaggio d’immediatezza ottenuto a forza di aggiustamenti pazienti e meticolosi» senza soffermarsi su passaggi che non sono necessari allo svolgersi della narrazione. Tanto lavoro, come tutti i grandi.

La ricerca (spesso estenuante) della parola esatta

Il lavoro della rapidità così come viene inteso nel saggio di Calvino è, almeno secondo me, molto simile a quello dell’esattezza. Per parlarne lo scrittore italiano si rifà agli appunti di Leonardo Da Vinci che sono stati ritrovati. Il genio e talento universale dell’Italia rinascimentale si definiva un «omo sanza lettere» per la sua scarsa conoscenza del latino e della grammatica che lo portavano ad avere un rapporto complicato con la parola scritta. Da Vinci quindi, correggeva molte volte lessico e sintassi dei suoi appunti con lo scopo di esprimere al meglio la sua scienza.

Un lavoro molto simile a quello del genio poliedrico lo possiamo trovare in altre personalità contemporanee e non che molto probabilmente avevano “più lettere”. Mi vengono in mente i manoscritti ricchi di correzioni e ripensamenti di grandi autori italiani che il professor Matteo Motolese, docente di Storia della Lingua Italiana presso l’università La Sapienza, analizza nel suo Scritti a mano. Otto storie di capolavori italiani da Boccaccio a Eco. In questo saggio illuminante viene mostrata la lunga gestazione che ha preceduto la realizzazione di grandi opere come il Decameron, l’Orlando Fuorioso o Il Nome della Rosa. Arriviamo ai giorni nostri: Jerry Seinfeld, famoso per la sua serie Seinfeld, per i suoi spettacoli nei teatri e per il suo programma Netflix Comedians in Cars Getting Coffee ci spiega proprio qui, per il New York Times, come scrive le sue battute. Molto simile al metodo Da Vinci, logicamente con contenuti meno utili per il progresso dell’umanità (eh va beh… diciamolo).

In altre parole, l’esattezza è la ricerca minuziosa dell’autore volta a ottenere uno specifico risultato che può essere stilistico, contenutistico o, nel caso di Seinfeld, di una reazione che vuole provocare negli spettatori: il riso.

Good Morning visibilità!

Spesso la carriera di Robin Williams come stand-up comedian viene introdotta con frasi del tipo “forse non tutti sanno che oltre ad essere un attore di successo Robin Williams…” ma non mi trovo d’accordo, non si possono scindere le due cose come due carriere, due forme di espressione totalmente diverse del compianto e talentuosissimo attore. Sono legate, sono vasi comunicanti.

Un piccolo esempio: l’interpretazione esuberante, improvvisata (ripeto, improvvisata), scanzonata e tenera nello stesso momento che Robin ci regala dimenandosi a tempo di funk davanti al microfono della radio del film Good Morning, Vientam è un riflesso dello stile che porta sul palco. Lì c’è tutto, le voci, l’irrequietezza e le immagini della sua folle e geniale comicità. Come dicevo, le immagini. Per capirci, quando sul palco un comico è solo senza oggetti scenici ha quasi il dovere morale di creare immagini con le parole. Qualcosa che sia visibile anche se non c’è. Questo dovere dell’autore era per Calvino una capacità da preservare. Poi intendiamoci, se ti chiami Robin Williams non è un dovere ma una ricchezza.

La molteplicità della vita racchiusa in pochi minuti

In questo caso vi parlo della conclusione di uno spettacolo del mitico Bill Hicks che ha fatto la storia: Revelations. Registrato nel 1993, è l’ultimo spettacolo del comico texano. Nessuno sapeva della sua morte imminente causata da un cancro al fegato. Lo spettacolo è epico, Hicks è maturo, sempre nevrotico, ma maturo. Lo spettacolo è un manuale di satira e la conclusione, pensata insieme alla consapevolezza di morire è struggente e poetica.

«È solo un giro di giostra» diceva Hicks parlando della vita come di una scelta tra amore e paura. Italo Calvino sosteneva che la capacità che poteva avere la letteratura era quella di racchiudere la molteplicità in un solo tratto ed è quello che fa Hicks. Le spesso deliranti argomentazioni e le invettive contro diversi aspetti della società americana come la politica, il moralismo, la religione, la decadenza dell’industria musicale ecc. potevano lasciare un ritratto di Bill Hicks come di un personaggio cinico e disincantato.

Ma sul finale forzato della sua carriera, il comico ci mostra cosa c’era dietro quella rabbia isterica, quale era il nucleo del suo universo comico e quindi della sua visione del mondo. La molteplicità dei suoi attacchi satirici si muoveva all’interno di una scelta, come detto prima, che gli uomini potevano fare tra paura e amore. Molto probabilmente Hicks era arrabbiato perché scegliamo sempre la paura. Se nella prima parte della sua carriera riesce a dare un’interpretazione dei diversi aspetti della società americana, in quel monologo di tre minuti riesce a mostrare il mondo che la racchiude insieme a molte altre società

Letteratura in evoluzione

Calvino quando ha scritto il saggio non deve aver pensato alla stand-up comedy, ma di sicuro stava a pensando a come la letteratura potesse continuare a essere efficace nel mondo contemporaneo. Come detto in precedenza, posto che la stand-up comedy sia un genere letterario, possiamo dire che sta raggiungendo l’obiettivo. Il linguaggio spesso scurrile ma anche confidenziale che la caratterizza, la rottura della quarta parete e l’atteggiamento amichevole, da “amico al bar”, che il comico può avere creano un terreno comunicativo condiviso con il pubblico che permette di filtrare con maggiore linearità un messaggio, un contenuto o una determinata rappresentazione della società.

La stand-up comedy non è l’unico futuro per il mondo artistico, ma ne farà sicuramente parte.

Domenico Dolcetti
Domenico Dolcetti

Sono nato nel 1997 a Tivoli, dove ho iniziato a muovere i miei primi passi nella letteratura, nella stand-up comedy e nel rischio di diventare provinciale. Nei noiosi viaggi da pendolare leggo John Fante e scrivo battute immaginando di doverle dire a breve in un club di New York.