Shakespeare in un’ora: “Shake Your Speare”

Shake Your Spear Martina Trotta

Quello di oggi è un articolo strano[1].


Più strano.

È un articolo su uno spettacolo teatrale: cosa che, almeno per quanto concerne la mia caotica e sregolata produzione, vanta un unico, solitario precursore.

È, poi, un articolo che acquisirebbe maggiore chiarezza inquadrato nel sistema di scritti realizzati per un altro sito[2].

Sul perché sia uscito qui, si taccia. Non avevo idea di cosa scrivere questo mese. Ché in teatro, come si suol dire, tutto il resto è silenzio.

E ora, sipario.

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Gli attori / registi/ drammaturghi / polistrumentisti / stagnini del milanese Spazio DiLà, spesso e volentieri, non si accontentano di mettere in scena testi teatrali. L’accogliente teatrino di via Arcivescovo Romilli (numero 15, fermata della metro gialla Brenta), dopotutto, è povero di posti ma ricco di idee: e ha già avuto modo di dimostrarlo ampiamente, in passato.

Non è da meno la sua più recente produzione, Shake your Speare; frutto delle fatiche di Delia Rimoldi, Claudio Gaj e Davide Benecchi. Un grande, grandissimo tributo all’opera di William Shakespeare: omaggiata però in maniera anomala.

Shake your spear

Sul piccolo palcoscenico del DiLà non viene adattato un singolo testo del drammaturgo per antonomasia, bensì due. Nell’arco di una sola ora (come è tradizione per l’accogliente anfratto teatrale) si succedono le vicende farsesche e tutte italiane di La bisbetica domata e le profondità abissali e albioniche del più celebre Riccardo III. Commedia e tragedia si trovano giustapposte – con una decisa discrepanza temporale a favore della prima – nel delineare il tributo al drammaturgo più famoso del teatro globale, attingendo ai più distanti e antitetici poli della sua grandezza.

Non si tratta, tuttavia, d’una giustapposizione forzata, o di un mero accostamento. Là dove gli amici del DiLà splendono veramente, infatti, è nell’originalità delle loro scelte di scrittura, nell’abilità di riadattare e manipolare il materiale di riferimento: con una grazia e un tatto tali da far sembrare che le rinnovate parvenze del testo siano frutto della stessa penna dell’autore.

Tale è anche il caso di Shake your Spear, mantenuto coerente da un’efficiente e sintetica cornice. Risulta però sorprendente, in questo specifico caso, constatare che proprio in tale secolare device scenico risieda la genialità dello spettacolo. La cornice, infatti, altro non è che un terzo testo shakespeariano: Sogno di una notte di mezza estate, opera nelle cui frenetiche evoluzioni si trovano smarrite persino le categorie teatrali di commedia e tragedia.

Sono volti familiari, i protagonisti di Shake your Spear. Mastro Chiappa (Bottom/Gaj), Cotogna (Quince/Rimoldi), Zufolo (Flute/Benecchi): la troupe di attori che anima il Sogno, che nella storia di amanti e fate introduce l’occasione di un sapiente gioco metateatrale. Un gioco moltiplicato a dismisura nel lavoro del DiLà, dove i personaggi di un testo shakespeariano si trovano nella condizione di doverne allestire altri: una Bisbetica che è specchio ideale dei goffi, triviali tentativi di approccio tra Chiappa e Cotogna; un Riccardo III che congela gli interpreti fino ad allora giulivi nel marmo di un’interpretazione maestosa e sepolcrale.

Nella frenetica alternanza di parti e di ruoli, nel continuo oscillare di personaggio in personaggio e di situazione e situazione, lo spettacolo dà prova del suo spessore, esibisce l’accostamento metodico dei suoi molteplici livelli narrativi e stilistici.

Shake your spear

E la cornice, grande come l’opera di Shakespeare, scopre un contraltare ideale nell’umiltà dei suoi protagonisti: attori squattrinati senza la certezza di arrivare a fine mese, nelle cui fatiche e nella cui versatilità artefatta si scorgono i riflessi della Commedia dell’Arte e di tutta la sua epoca. Un mondo rinascimentale dove il professionismo teatrale è artigianato, ma di quello pagato poco. Eccolo lì, sulla scena del DiLà, l’interprete shakespeariano: una pancia che non c’è garanzia venga riempita dalle prove istrioniche; un ventre ardente di desiderio nonostante i morsi della fame.

Nella cornice si saldano contenuto e contesto. E il loro legame, delicato ma inscindibile, è quello tra proscenio del Teatro e fondale della Vita.

L’universo scenico così ottenuto, dilatato con sapienza per accogliere elementi tanto distanti tra loro, diventa terreno di sfogo ideale per la bravura degli attori: maestri di battute e scherzacci comici, certo, ma egualmente abili nel portare in scena la solennità e il gelo denso di spettri della tragedia.

Gli interpreti e le loro maschere si rincorrono per le scatole cinesi della scrittura shakesperiana, riattivando e rinnovando i testi di riferimento in un frenetico susseguirsi di parole, volti, situazioni: cullati dalla musica di mastro Zufolo (che, ricordiamolo, non deve recitare) e spinti talvolta nelle scarpe altrui dall’en travesti.

È questo e molto altro, Shake your Speare. È, soprattutto, uno spettacolo consigliato ai veterani dell’opera di Shakespeare come ai neofiti.

Entrambe le categorie avranno certamente di che trarne giovamento.

Applausi, e più d’uno. Sipario.

 


In copertina: Illustrazione di Martina Trotta

davide cioffrese
Davide Cioffrese

Eclettico nella mia conoscenza del nulla, narcisista nella misura in cui il mio ego non incontra quello degli altri, più sensibile agli attacchi emotivi di opere fittizie che a quelli del libro/film/ videogioco chiamato “vita” (aspetto alquanto allarmante). Tento di approcciarmi al mondo nella maniera più amichevole possibile, ma se di dovere (e, talvolta, a sproposito) non mi faccio scrupoli ad attaccarlo con eguale ferocia. Salvo poi, magari, sentirmi dispiaciuto al riguardo. Non aspettatevi che lo confessi, comunque. Jack of… some trades, master of none… in particular.