Sandy Skoglund. Emotività e fisicità

Sandy Skoglund

Sandy Skoglund diventa un’artista famosa grazie ad un quadro che lascia tutti interdetti: un numero esiguo di gatti verde fosforescente, dunque radioattivi, in una stanza grigia insieme ad un uomo e una donna anziani. Oggi Sandy è considerata una delle figure più importanti della Staged Photography, una corrente artistica degli anni Ottanta che si basa sulla creazione di ambientazioni e situazioni del tutto immaginarie, in grado di indagare l’inconscio di chi le crea e di chi le osserva. CAMERA (Centro italiano per la fotografia) di Torino ha dedicato a questa fotografa un’ampia mostra curata da Germano Celant che racchiude le sue prime opere.

La mostra è stata aperta al pubblico dal 24 gennaio scorso al 31 marzo 2019 con il titolo “Sandy Skoglund. Visioni ibride”. Viene utilizzato questo aggettivo che ben si adatta alle sue opere, caratterizzate da inusuali accostamenti, paradossi, incongruenze che spiazzano l’occhio del pubblico.

Vediamo appena entrati le sue opere risalenti agli anni Settanta, la raffigurazione di ambienti domestici rielaborati dando loro una forma inquietante per creare foto piene di significato, considerando l’epoca storica di forte cambiamento sociale in cui vengono realizzate.

Sandy Skoglund, Hangers, 1979
Sandy Skoglund, Hangers, 1979

Altro soggetto ricorrente sono vari animali dai colori innaturali, come volpi di un rosso molto intenso tendente al magenta, cani blu e viola, scoiattoli neri, gatti verdi e gufi azzurri. L’artista afferma “Ho scelto di popolare le mie immagini con animali per introdurre nella nostra esperienza questa coscienza alternativa”.

Queste due componenti vengono unite proprio in Radioactive Cats, l’opera descritta in apertura, risalente al 1980. Già, perché dal 1979 Sandy inizia a creare installazioni estremamente curate nella loro caoticità, che solo dopo fotografa, così da realizzare il quadro. Alcuni esempi sono:

Hangers (1979) realizzato con grucce di plastica che pervadono l’intera stanza e un modello che si affaccia su questo ambiente. Utilizza solo tre colori: giallo, rosa, azzurro.

Revenge of Goldfish (1981), quadro che dona una faccia all’intera mostra e inoltre viene usato per il libro di Margaret Mazzantini del 2008 Venuto al mondo. Qui il colore predominante è il blu da cui i pesci rossi spiccano nella loro vivacità, sparsi nell’intera stanza che sembra essere priva di gravità. Nel cuore dell’immagine troviamo due umani ignari di quel che hanno attorno.

Sandy Skoglund, Revenge of goldfish, 1979
Sandy Skoglund, Revenge of goldfish, 1979

Spostandoci più avanti troviamo le opere degli anni Novanta. Qui mi colpisce l’uso quasi ossessivo del pattern, in cui racchiude figure umane come per intrappolarle nei loro pensieri, nell’inconscio, nelle loro procedure cerebrali. Il quadro che più mi appassiona tra questi è The Wedding (1994): un rosso scuro intenso predomina, vediamo solo la sposa posta di fronte, mentre lo sposo è di spalle a noi, rivolto verso la futura consorte. Notiamo le pareti e il pavimento decorati con rose argentate tridimensionali e la torta nunziale con i modellini degli sposi sul culmine, anch’essi di spalle rispetto a noi. La sposa con occhi rivolti a terra cammina tra le rose, coinvolta emotivamente dal gesto che sta per compiere, insicura e ricoperta di sguardi pieni d’aspettative. La situazione è liberamente interpretabile, una dolce e sottile descrizione del mondo femminile, a mio parere.

I lavori antecedenti agli anni Ottanta sono realizzati in modo diverso: nel 1977 Sandy si diverte a catturare istantanee di semplici oggetti domestici trasponendoli dalla loro collocazione naturale. Ben si nota in Iron dove viene fotografato un ferro da stiro con l’immagine riflessa e distorta di una bambola, stesso accade in Toaster, ma le immagini riflesse sono dei frutti posti su un ripiano, e in Self Portrait dove è la stessa Sandy riflessa nella pentola fotografata.

Sandy Skoglund, The Wedding, 1994
Sandy Skoglund, The Wedding, 1994

Mentre ancor prima, nel 1974, Sandy crea una collezione di foto di casette che sembrano essere poste a confronto o in sequenza come in un divertente “trova le differenze”: da una foto all’altra può cambiare minimamente inquadratura o la disposizione di oggetti, nonostante il soggetto rimanga lo stesso. Le sequenze possono variare da quattro a sei gruppi di foto, in tutto si tratta di sette opere.

A questi lavori è stato dedicato il corridoio finale della mostra, insieme alla raccolta del 1978 Food Still Lifes, in cui vediamo foto di piatti colorati, su sfondo decorato da altrettanti mille colori, il cui contenuto è composto da diversi cibi geometricamente posizionati.

Il pubblico viene così accompagnato verso l’uscita dopo aver visto il suo ultimo progetto Winter, realizzato nel 2018 come parte iniziale di un work in progress dal titolo The Projet Of The Four Season, in cui l’artista si prefissa un obiettivo audace: comprendere l’effetto che le stagioni hanno sulla mente degli esseri umani, tramite immagini, installazioni, sculture.

Sandy Skoglund, Shimmering Madness, 1998
Sandy Skoglund, Shimmering Madness, 1998

La mostra ospita anche una vera e propria installazione dell’artista. Shimmering Madness del 1998 fu la preparazione per una fotografia di cui Sandy ci permette di vedere l’atto creativo prima dello scatto. Di assoluta meraviglia sono le farfalle affisse alla parete di sfondo che costantemente si muovono come fossero vere.

Sono molte di più le opere di questa artista che nasce nel 1946 e dona agli anni maggiormente ferventi del Novecento un tocco magico e uno spunto di riflessione. Chi avrà la pazienza di fermarsi e di osservare per un po’ quel che Sandy ci pone di fronte potrà andare oltre la superficiale sensazione di straniamento: i suoi mondi risiedono dentro di noi, lei ci aiuta a guardarli e a comprenderli meglio.

Ilaria Calò
Ilaria Calò

Amo il silenzio, la riflessione e la parola scritta, sono affascinata da molte forme d’arte (ho un concetto di arte molto ampio) in cui includo, tra il resto, anche la natura e la scienza. Molti mi dicono che ho gusti retrò: lo considero un grande complimento. Credo profondamente in sole tre parole: “coerenza”, “rispetto” e “parola”.