La Catastrophe: Samuel Beckett e il teatro del presente

Samuel Beckett

L’attesa, l’incertezza, i continui riferimenti alla morte, l’instabilità e la precarietà di una situazione che non è del tutto sotto il controllo dell’uomo ma piuttosto manovrata da forze esterne. Queste sono le caratteristiche del presente, uno scenario assurdo quanto reale. Molti sceneggiatori, registi e scrittori, hanno descritto scenari simili e a guardarli ora sembrano quasi obsoleti.

Ma c’è un autore che, a mio parere, ha colto con uno sguardo acuto ed essenziale la condizione dell’Uomo nella sua essenza, ed è Samuel Beckett, protagonista insieme a Eugène Ionesco e Arthur Adamov del Teatro dell’assurdo. Voce tra le più incisive della cultura europea del Novecento, Beckett è riuscito a tracciare un itinerario coraggioso e mai banale della condizione umana, attraverso un genere teatrale innovativo e profondo.

Molti sono i drammi o racconti ai quali si può fare riferimento, dalle sue opere più famose come Aspettando Godot e Finale di partita, ai tanti racconti brevi, alla poesia. Il tema centrale è sempre l’uomo che nonostante sia consapevole dell’ineluttabilità della fine, tenta di trovare metodi di sopravvivenza e di resistenza, tra dilemmi personali, limiti e calamità sociali.

La messa in scena essenziale, i testi, che andando avanti nel tempo si sono fatti sempre più scarni, in un geniale gioco di sottrazione, sono stati oggetto di svariate speculazioni, mai avvalorate dallo stesso Beckett, che si stupiva del fatto che lo spettatore dovesse trovare a tutti i costi una spiegazione o un significato.

Try again. Fail again. Fail better, Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio, non è una trovata degli imprenditori della Silicon Valle, ma una frase simbolo della sua opera. Beckett con la sua poetica resta fedele a questo principio, e lo esprime con tutti i mezzi a cui si è accostato, la scrittura, il teatro, la radio, la televisione e il cinema.

Samuel Beckett
John Minihan, Samuel Beckett alla regia di Aspettando Godot, 1984

E l’assurdità, la desolazione della condizione umana vengono espresse con un linguaggio che quasi si sgretola, nella forma e nella sostanza, che arriva in prossimità del silenzio, con un canone stilistico mai codificato, che proporzionato all’azione e alla mimica sottolineano l’inadeguatezza della comunicazione umana.

I personaggi beckettiani sono collocati in luoghi e tempi che non hanno coordinate, avanzano fino all’immobilità per poi ricominciare, ognuno a suo modo e con quello che ha, muovendosi a fatica, storpi, ciechi o seppelliti fino alla vita sotto un mucchio di terra, compiendo percorsi circolari che li riportano al punto di partenza.

Un incessante movimento verso un dove indefinito. Si sorride guardandoli in questo moto perpetuo perchè non c’è niente di più comico dell’infelicità, come candidamente dice Nell al marito Nagg in Finale di partita, e ci si sente vicini a loro con tenerezza e compassione sia quando aspettano qualcuno o qualcosa che non arriverà mai, sia quando chiusi in un bidone aspettano di mangiare un biscotto, o quando nonostante siano ricoperti di terra, trovano un motivo banale per essere felici.

Oltre ai testi teatrali più conosciuti come Aspettando Godot, Finale di partita, Giorni felici, Dondolo, Beckett ha sviluppato negli ultimi anni della sua vita artistica una forma drammatica breve, i dramaticules, neologismo da lui coniato, testi affascinanti nell’aspetto formale e contenutistico che non sempre hanno trovato spazio nelle situazioni di teatro convenzionale, proprio per la brevità della durata. Spicca in questa ultima produzione un trittico di drammi particolarmente pregnanti, Improvviso nell’Ohio, Cosa dove, Catastrophe.

Quest’ultima descrive la schiavitù politica dell’uomo da parte dello stato; Beckett la scrisse come testimonianza a favore di Vaclav Havel, drammaturgo cecoslovacco dissidente, le cui opere furono bandite dai teatri nazionali.

John Minihan, Samuel Beckett alla regia di End Game, 1980
John Minihan, Samuel Beckett alla regia di End Game, 1980

I personaggi di Catastrophe sono il Protagonista, figura tipicamente beckettiana posizionato in piedi su di un cubo nero, inerme, con il viso illuminato, il Regista, suo aguzzino che decide come sistemare il suo ”manichino” umano, dando ordini alla sua Assistente, la quale prontamente ne delinea la postura, in continui assestamenti, fino a quando non sarà pronto per essere mostrato alla folla.

Nella scena finale, tra gli applausi, il Protagonista, inaspettatamente, solleva la testa, mostrando il suo dolore e la sua infelicità per quella condizione inumana. Il testo delinea in modo mirabile la spettacolarizzazione del dolore ma il dolore mostrato da quella faccia ci appare assurdamente reale.

Gli sguardi della gente sofferente, visti tante volte in questo terribile periodo sui nostri schermi, mi ha evocato gli stessi sguardi persi e sgomenti dei personaggi beckettiani, sprovvisti e impreparati ad affrontare il presente, e descrivono perfettamente l’assurdità del reale.

HAMM: La natura ci ha dimenticati.
CLOV: Non c’è più natura.
HAMM: Più natura! Adesso esageri.
CLOV: Nei dintorni.
HAMM: Ma noi continuiamo a respirare, a cambiare! Perdiamo i capelli, i denti! La nostra freschezza! I nostri ideali.
CLOV: E allora non ci ha dimenticati.
HAMM: Ma tu dici che non esiste più.
CLOV (tristemente): Nessuno al mondo ha mai avuto dei pensieri così sballati come i nostri.
HAMM: Si fa quel che si può.
CLOV: È un errore.

E le parole si sono fatte spesso vane, inadeguate, insufficienti a descrivere quel dolore, tanto da indurre a tacere:

silenzio così che ciò che fu
prima non sarà mai più
dal bisbiglio lacerato
d’una parola senza passato
per avere troppo detto non potendone più
giurando di non tacere più

 


Per approfondire:
Samuel Beckett, Finale di partita, Teatro completo ,traduzione a cura di Carlo Fruttero. Einaudi-Gallimard, Biblioteca della Pleiade, pag 93 e pag 97
Conversazioni con (e su) Beckett, Mel Gussow, 1998, La collanina 18 – Ubulibri

Samuel Beckett, Le poesie, Einaudi tascabili, 1999, pag. 151

Maria De Luca
Maria De Luca

Dopo una lunga formazione come attrice, mi diplomo in Regia teatrale e in Art Theatre Counseling. L’estate scorsa ho trovato un magazzino e ne ho fatto uno Spazio Artistico, Traccedarte, dove posso realizzare i miei progetti. Il Teatro è un’urgenza a cui non posso rinunciare.