I pensieri di uno stolto, di Silvia Leuzzi

Vassilij Kandinsky, Composizione VI, 1913

Io amo le belle ragazze, mi piacciono i loro corpi, emanano un profumo che mi stordisce. Queste con le quali mi lasciano sono brutte, proprio non mi piacciono. È vero che, come dice mia madre, queste brutte mi baciano ma io voglio Martina, Giulia, Jessica, bionde o more, morbide, con gli occhi dipinti dal trucco, con le minigonne.

(Silvia Leuzzi, I pensieri di uno stolto ed altri racconti, Aurora Edizioni, p. 7)

Giovanna Caratelli scrive, nella prefazione a I pensieri di uno stolto, breve silloge che raccoglie i racconti di Silvia Leuzzi edita da Aurora Edizioni, che non è mai semplice affrontare il tema della disabilità, intesa più ampiamente come diversità, senza scadere in abusati pietismi e patetismi vari. Una considerazione doverosa che, come la lettura dei racconti di Silvia ci testimonia una volta chiuso il libretto, non si può certamente imputare all’autrice romana.

Leggendo le sue storie si riesce effettivamente a respirare come e a vedere come e a sentire come i protagonisti delle vicende – quelle sì impietose – in un processo di immedesimazione che risulta ancora più semplice e incisivo per la naturalezza della lingua usata (che non vuol dire lingua incolore e banale come molte volte, ahimè, capita) puntellata di accenni dialettali, espressioni idiomatiche imbastardite dall’italiano imperante dove la voce dell’autrice, sciolta in una sintassi fluida che segue gesti sguardi e pensieri come un’ombra, di fatto scompare dalla pagina.

Questa è una qualità che mi ha notevolmente sorpreso durante la lettura: riuscire ad essere perfettamente naturali, mai eccessivi, in perfetta sintonia con i personaggi raccontati sino ad annullarsi, è indice di una forte e profonda conoscenza del tema e del soggetto trattati. E non potrebbe essere altrimenti.

I pensieri di uno stolto, di Silvia Leuzzi

Una capacità di mantenere l’equilibrio sul filo del rasoio, un filo infìdo, lercio e scivoloso che evita il lamento eccessivo e ridondante, schiva il disprezzo per chi non vive la medesima vita, una vita fatta di sacrifici grossi il doppio il triplo e ancora e ancora. Ma racconta comunque tutto questo e lo fa con un’incredibile forza. Lo fa calando il tutto in una realtà, quella italiana, che è davvero crudele, un deserto di assistenza e servizi, un ecatombe di affetti in cui, spesso, si ammassano ingiustizie di ogni sorta.

Una donna con un figlio disabile non deve cercare lavoro, deve accudire la prole, che è oltretutto malata, deve immolarsi alla causa, deve salire sulla pira incandescente che brama di lambire le sue vesti e donarsi spontaneamente alla morte civile, senza un lamento ma con un sorriso.

(Silvia Leuzzi, I pensieri di uno stolto ed altri racconti, Aurora Edizioni, p. 37)

Il racconto con protagonista Maria Teresa, madre di Rosa, un fagottino piccolo piccolo e fragile, fragile come il cristallo, risulta il più esemplare in questo senso, il più forte e, forse, il più compiuto: l’autrice, raccontando le peripezie della povera donna e continuando sino agli anni della scuola elementare non si risparmia nel condannare uomini e istituzioni e, in particolare, l’inetto marito di Maria Teresa, Paolo. Nel far questo, Silvia rivendica alla donna il ruolo che le spetta, esaltandone l’amore e lo spirito di sacrificio, denunciandone la rassegnazione.

I pensieri di uno stolto è un libro necessario, non un volume di denuncia, non un urlo disperato, no di certo, anche perché queste non sembrano essere le intenzioni ultime che covano nella mente dell’autrice. Abbiamo, in ultimo, la possibilità di leggere qualche racconto vero, dal profilo nitido e coerente, una manciata di vicende normali, piane (e crudeli, in fondo) nella loro quotidiana drammaticità. Non storie patetiche, mai manifestamente tragiche ma non per questo meno vere.

 


Silvia Leuzzi ha scritto anche I temi della poesia, che abbiamo recensito nell’articolo Il duplice realismo di Silvia Leuzzi. Inoltre è una nostra autrice: qui trovi tutti i suoi articoli

Redazione: Salvatore Ciaccio
Salvatore Ciaccio

Nato a Sciacca in provincia di Agrigento nel 1993, ho frequentato il Liceo Classico nella mia città natale per poi proseguire gli studi a Pavia, dove mi sono laureato in Lettere Moderne con una tesi dedicata all'architettura normanna in Sicilia.