Nestor Burma e la malattia della reticenza

Nestor Burma

La Francia del 1940 fa da sfondo alla storia dell’investigatore privato Nestor Burma, che sente pronunciare un indirizzo – 120, rue de la Gare – da due persone diverse; una prima volta da un prigioniero affetto da amnesia allo stalag, un’altra dal suo ex-assistente, Bob Colomer. Non ha però tempo di chiedere loro spiegazioni, perché entrambi perdono la vita appena dopo aver detto queste ultime parole.

Appena rientrato dal campo di prigionia, Burma non può fare a meno di indagare, seguendo le poche piste e le molte intuizioni, aiutato e ostacolato da un poliziotto, un giornalista, e la sua bellissima ex-assistente, potendo contare anche sulla fama conquistata in passato della propria agenzia, la Fiat Lux, e sul prestigio del proprio nome.

La guerra s’intreccia di tanto in tanto con la trama, frapponendosi tra Burma e la sua indagine: egli infatti si vede costretto a chiedere permessi per lasciare l’ospedale dove era ricoverato con gli altri liberati o lasciapassare per le zone occupate, ad essere cauto nelle conversazioni telefoniche; viene inoltre a conoscenza della perdita dei suoi ex-agenti nei combattimenti di quella “strana guerra” sulla linea Maginot.

Nestor Burma è un personaggio consapevole delle proprie doti, pur senza essere mandarinesco o sfociare nella prevedibile arroganza – tratto assai tipico dei detective di ogni produzione letteraria o televisiva – ed è sferzantemente ironico:

L’ispettore Florimond Faroux, della Polizia Giudiziaria, andava verso la quarantina più rapidamente di quanto non desse la caccia ai ladri. Il che non è dire poco. Era di costituzione robusta, piuttosto alto, ossuto. Il baffo grigio gli aveva valso il soprannome di “Nonno” da parte dei colleghi più giovani. Indossava in tutte le stagioni un cappello color cioccolato che… gli stava malissimo. Non era mai riuscito ad adattarsi al mio sense of humour.

Leo Malet

Egli stesso sostiene di essere affetto dalla malattia della reticenza: ha infatti il vizio di omettere la verità, o, per meglio dire, di sollevare solo alcuni lembi del lenzuolo delle sue intuizioni per far sbirciare gli altri. Ne deriva un multiforme insieme di racconti di tono differente, più o meno dettagliati, che rendono il quadro dell’indagine sempre più nitido e definiscono lo stile della narrazione.

La storia non è particolarmente travolgente e a tratti subisce dei bruschi rallentamenti, soprattutto a causa dei moltissimi dialoghi, ma ciò è in parte compensato dalle magistrali descrizioni, sia delle circostanze,

Eravamo a Lione, il mio orologio faceva le due e avevo la bocca impastata. Il tabacco di Zurigo, il cioccolato, le salsicce e il caffellatte di Neuchâtel, lo spumante di Bellegarde e i frutti di un po’ dappertutto, costituivano un puzzle alimentare che poteva trovare soluzione solo al di fuori del mio stomaco.

sia dei personaggi:

Alta e slanciata, a testa nuda, avvolta in un trench écru, nelle tasche del quale affondava le mani, sembrava stranamente sola in mezzo a quella folla, forse persa in una fantasticheria interiore. Era in piedi, all’angolo del chiosco di giornali, sotto il lampione a gas. Il viso pallido e sognante, di un ovale regolare, era sconcertante. Gli occhi chiari, come lavati dalle lacrime, riflettevano un’indicibile nostalgia. Il vento pungente di dicembre giocava tra i suoi capelli.

Nel 1945 Jean-Daniel Norman trasse da 120, rue de la Gare un film poliziesco dall’omonimo titolo, di cui, se foste curiosi, è reperibile un frammento, naturalmente in francese, su Youtube:

Non si capisce granché, però è incredibile poter vedere uno spezzone di quasi tre quarti di secolo fa ispirato proprio dal nostro autore, Léo Malet, che in 120, rue de la Gare diede vita per la prima volta al suo inimitabile Nestor Burma, poi protagonista di un’altra trentina di avventure. L’autore stesso, così come il suo personaggio, aveva subito una dura detenzione in un campo di concentramento nazista, a cui si fa riferimento nel romanzo sempre con ironia e senza alcuna volontà pedagogica o di denuncia.

Che siate profondi conoscitori del genere o esploratori alle prime armi, curiosi di immergervi nell’atmosfera del noir francese…è giunto il momento di scoprire se vi troviate d’accordo con Corrado Augias, che sostiene che “Malet è giudicato, non a torto, migliore di Simenon”. Riuscirà il poliedrico e anarchico Malet a conquistarvi, o il paragone vi suonerà oltremodo audace?

 

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Leo Malet, nato nel 1909 a Montpellier, pubblica 120, rue de la Gare nel 1943. Fazi Editore ha pubblicato anche Le acque torbide di Javel, Nebbia sul ponte di Tolbiac, Il boulevard delle ossa e Delitto al luna-park.

Vittoria Pauri
Vittoria Pauri

Alla domanda “Qual è il tuo motto?" non avrei esitazione a citare una frase di Gandhi: il miglior modo per trovare se stessi é perdersi nel servizio degli altri. Le due cose di cui non posso fare a meno sono la curiosità di capire ciò che mi capita intorno e un quadernetto su cui scrivo tutto quello che mi passa per la testa e su cui colleziono frammenti di libri, poesie e conversazioni.