Marx e la prassi: conoscere il mondo per cambiarlo

Marx e la prassi

L’importanza di essere dialettico – III

 

Qui e qui le puntate precedenti

La realtà è una totalità che si differenzia in parti.

Ogni differenziazione in parti produce opposizioni reali. Il carattere oppositivo della differenziazione è il correlato inevitabile della differenziazione stessi: la condizione per una pianta di essere una pianta è di non essere (più) un seme e nemmeno (più) un frutto e nemmeno il terreno nel quale il seme è sepolto…

Le opposizioni reali possono essere comprese razionalmente solo attraverso la categoria logica di “contraddizione”. La categoria di “contraddizione” permette di rendere le opposizioni reali opposizioni del pensiero. Permette cioè di comprenderle, di tradurre il mondo nel mondo-di-senso, l’unico spazio di conoscenza per l’essere umano. “Contraddizione”, come abbiamo visto nel primo articolo, rimanda già alla possibilità di riflettere superando e conservando le due tesi opposte (A e non-A, B e non-B…). È già movimento, perenne mutare.

Nello scorso articolo notavamo che la logica formale, fondata sul principio di non-contraddizione, non riesce a cogliere l’intrinseco movimento della realtà. È tempo di soffermarci più da presso su questa questione.

Chiediamoci: qual è la condizione di possibilità del movimento? Il mutamento. Solo una realtà immutabile, eternamente fissa nelle sue qualità è una realtà immobile. Ma l’universo, il mondo in cui siamo inseriti non ha queste caratteristiche. Il mondo è in perenne mutamento, è flusso inarrestabile di cambiamento. Il mondo è movimento.

Karò Marx

Ora, il mutamento non lascia mai le cose come le ha trovate. Produce viceversa nuove configurazioni, nuove situazioni. Mai arbitrariamente, mai per un’ascosa voluntas dei, ma sempre a partire dalle configurazioni precedenti. Il passato è condizione di possibilità del presente, ciò che è stato determina ciò che è, ne è ratio essendi.

Poiché vi è un nesso tanto stretto tra passato e presente, al punto che si potrebbe dire che il presente non è nient’altro che una parentesi tra un non-più e un non-ancora, è necessario comprendere qual è la condizione per il prodursi delle nuove configurazioni di realtà.

Torniamo all’incipit: la realtà è totalità che si differenzia in parti, in opposizioni reali – abbiamo detto. Bene. La risposta è contenuta in quest’affermazione: il mutamento è superamento delle opposizioni reali, delle contraddizioni che si producono e riproducono costantemente nel mondo.

Il seme, opposto e contraddittorio rispetto al terreno in cui è inserito, attraverso un costante processo chimico-fisico, si supera nella pianta, che nega l’opposizione precedente seme-terreno e ne istituisce una nuova, completamente differente. Quando ciò non avviene, il superamento non viene inibito, è solo di altra natura: il seme non sboccia, non si supera nella pianta ma nelle sue componenti chimiche elementari. Diviene fertilizzante.

Le contraddizioni passate non rimangono ferme nella loro fissità, ma si superano e definiscono, determinano il presente. È evidente che le contraddizioni che pervadono la realtà non agiscono dall’esterno, ma ne sono parte integrante, vera e propria condizione di esistenza.

Non si tratta di un’equazione: seme + terreno = pianta, che non permetterebbe di comprendere come dal seme e dal terreno si pervenga alla pianta. Si tratta piuttosto di una processualità, per cui ogni elemento è tesi e antitesi, è condizione dell’esito del processo e al tempo stesso inserito nel processo stesso. È fattore variabile del processo e al tempo stesso invariabile.

Marx press

Conviene qui prendere un esempio più autoevidente. Prendiamo l’essere umano. Ogni individuo viene “limitato” dal contesto che gli si pone dinnanzi come «potenza esterna». Ma egli agisce, opera. Così facendo non modifica solo il reale, ma limita la potenza stessa del reale, né è un limite oltre che un elemento. Non solo. Dal reale e dal processo di modifica viene a sua volta modificato. Egli non agisce su un materiale inerte, ma sempre su un qualcosa che determina lui e le condizioni della sua azione.

L’azione ha un’ulteriore caratteristica: il soggetto, agendo, rende il mondo a sua misura. Egli comprende il mondo, lo prende assieme e lo trae verso di sé. È questa la radice della conoscenza: una comprensione sistematica e consapevole tratta dall’inevitabile relazione tra soggetto e oggetto. Per distinguerla dall’azione “istintiva”, conviene qui parlare di prassi: azione vivificata di teoria, di conoscenza, di comprensione.

La prassi supera l’opposizione tra i poli di teoria e azione – che in sede analitica paiono reciprocamente estranei –, eliminando il lato “negativo” della relazione, affermando cioè la loro contemporanea e reciproca omogeneità ed eterogeneità, come ebbe modo di scrivere Gramsci. Di più, la prassi produce continui scarti nel reale, nuove configurazioni di mondo e conseguentemente di senso. Supera le contraddizioni e ne produce continuamente di nuove. Il pensiero e l’essere vengono, attraverso la prassi, ricondotti a unità. A parte subiecti – in un certo senso –, ma non speculativamente, come imposizione teorica soggettiva sull’oggetto, ma nei termini di modifica-comprendente o di comprensione-modificante. Cioè di reciprocità di azione e di limitazione.

Ma torniamo alla contraddizione. C’è un rischio, di perdersi nei meandri della speculazione astratta. L’unico modo per evitare questo pericolo è affermare, senza indugi, che non esiste “la” contraddizione e che parlare di “contraddizione” in senso astratto e formale significa ridurla a uno schizzo grigio dipinto su grigio. Esistono le opposizioni reali e le contraddizioni come traduzione logica delle opposizioni reali. Ed esiste la prassi umana, che supera le contraddizioni e ne produce nuove.

Karl Marx e la prassi. Copertina del Capitale

Prendendo a prestito gli strumenti concettuali di Weber, potremmo dire che le contraddizioni, se vogliono avere una qualche utilità conoscitiva, devono avere una caratteristica idealtipica. Cioè devono essere un’utopia, non intesa come “non-luogo”, ma come astrazione storicamente determinata. Non basta dire che la realtà è contraddittoria, bisogna dire che tipo di contraddizioni la percorrono, la muovono, la vivificano. Individuare le contraddizioni specifiche con le loro caratteristiche specifiche.

Questo significa aprire la strada alla possibilità di una traduzione tra teoria e prassi, vera e propria condizione per la mondanizzazione della teoria. Sottratta ai nembi del dogma, la teoria viene così sottoposta al banco di prova della storia. Ciò che ne sopravvive (anche sotto mutata specie) è ciò che della teoria è veramente razionale. La speculazione teologica degli scolastici, ad esempio, che partendo dalla riflessione su Dio sviluppò massimamente gli strumenti logici, aprì la strada alla scienza moderna e all’abbandono della logica aristotelica. In questo trovò la sua mondanizzazione e storicizzazione, la sua razionalità.

Il distico hegeliano «ciò che è razionale, è reale; ciò che è reale, è razionale» potrebbe venir riformulato così: «ciò che è razionale, è storico; ciò che è storico, è razionale». Il che non significa ovviamente che tutto ciò che è accaduto ha una sua razionalità a priori (stabilità extra-storicamente da qualche entità metafisica).

Significa invece che è nel flusso incessante degli avvenimenti umani, nella prassi, che l’uomo dimostra la sua verità e il suo potere; significa che – dialetticamente – non basta interpretare il mondo, bisogna cambiarlo.

Simone Coletto
Simone Coletto

Nato a Milano, classe 1993, laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Pavia; lettore e appassionato di politica da sempre, ho avvicinato gli studi filosofici sui banchi del liceo (classico) e da lì ho compreso come questa disciplina dia ad ognuno la possibilità di capire e modificare il mondo.