Marianne Gruber, una formidabile scoperta

Marianne Gruber

Sfogliando la rivista letteraria Poesia di Crocetti di Gennaio 2020, n. 355, mi sono imbattuta nella meravigliosa poesia di Marianne Gruber, una prolifica autrice austriaca, magistralmente tradotta da Riccarda Novello, cui vanno i miei sinceri apprezzamenti e ringraziamenti, vista la nutrita silloge, di non facile traduzione, che mi ha consentito di conoscere quest’autrice.

Come sempre non m’inerpicherò in analisi colte, per questo vi rimando all’articolo della Novello. Io vi racconterò le emozioni e le riflessioni che queste poesie provocano a un lettore medio come me, e dell’importanza e della bellezza della poesia.

Angeli

Arrivano nottetempo e scelgono
i sogni
che custodiscono
con occhi insonni.
Sospirano e svegliano i dormienti
finanche alba e luce
prigionieri sopra l’abisso.
Al mattino si spengono
i colori dei mantelli
in cui aleggiavano
loro precipitano.
Il mio angelo si
precipita nel giorno.

(2005)

Cominciamo a parlare della poesia dal titolo Angeli, scelta per iniziare questa nostra chiacchierata. Chi sono gli Angeli che volteggiano di notte con i loro mantelli colorati? Sono i fantasmi dei sogni; è la nostra fantasia, libera e leggera, che si frantuma in un’alba di luce algida, scuotendoci dal torpore di prigionieri, sognatori dormienti.

È il mattino che spegne i colori ai mantelli nei quali gli angeli volteggiavano e il loro precipitare è il nostro risveglio brutale nel quotidiano, in cui ci ritroviamo, conficcati come Luciferi, al centro del nostro inferno.

Nelle pause degli alberi
sterpaglia di ore
per il respiro
appena praticabile
sguardi e passi
imprigionati
in radici e spine
solo in alto
dallo sguardo ai rami strappato
un frammento di cielo grigio.

(2007)

Quel frammento di cielo grigio, strappato da quella sterpaglia di ore, è lo spazio vitale, l’ossigeno che ci salva dall’anidride carbonica della quotidianità convulsa e soffocante.

Odilon Redon, Angelo caduto
Odilon Redon, Angelo caduto

Ci possiamo leggere ognuno la nostra vita, la nostra volontà di sopravvivere all’intricata foresta degli sguardi altrui, degli obblighi opprimenti, delle preoccupazioni. Questi versi mi fanno pensare a un disegno fatto con la china, nel quale il frammento di cielo grigio è il punto di fuga e l’unica fuga di sopravvivenza per un essere umano.

Noi viviamo nella rete
pescatori elettronici
nel mare
del progresso infinito,
dello spazio ampliato senza fine.
Nella rete si dibattono sensi e significato
come un gambero sulla
terraferma asfissiato
Dove sei?
Tu dici,
nelle vicinanze ci sarebbe un lago
e tu saresti seduto sulla sponda …
e che mi sogni.

(2007)

Scrittrice per lo più di romanzi, racconti di ogni genere e di letteratura per bambini, Marianne si è cimentata di rado con la poesia. Come si può vedere dalla data posta sotto ogni lirica, sono quasi tutte di recente produzione, e proprio per questo mi hanno colpito.

La Gruber mi ha ricordato Paul Celan per il modo in cui costruisce il verso, giocando con la parola, ricorrendo a metafore, interrogativi che aprono voragini di pensieri.

Dall’intricata “sterpaglia di ore” a questa rete dove, al pari dei pesci morenti, si dibattono “sensi e significato“. In tutto questo caos dov’è l’essere umano? Seduto su una sponda immaginaria, sorretta solamente da una condizionale volontà di sognare, di cui non ha certezza alcuna.

Io so che un mondo antico
deve andare in rovina,
se un altro vuole
sorgere nuovamente su terreno friabile.
Io so che la mia nostalgia
per il mondo antico
non si spegnerà affatto hic et nunc.
Dove tu eri un tempo,
un là trascorso
e qui, dove io sono adesso…
Il dolore è il mio ponte sull’abisso,
mastice della frattura
che il tempo diviso ha creato
in azzurro e autunno
per scoprire attraverso questo la vita.

(2008)

L’inizio è lapidario, profetico, quel pronome IO, entra nella nostra vita, con la certezza di un sapere antico e doloroso, che l’umanità si nega.

Quale mondo deve andare in rovina per Marianne?

Odilon Redon, Occhi chiusi, 1894
Odilon Redon, Occhi chiusi, 1894

Nata negli anni della seconda guerra mondiale, ha vissuto in prima persona i cambiamenti dell’era post-bellica, la nascita della società dei consumi, l’entusiasmo iniziale e il fallimento.

Chi è quel tu che è in un là trascorso?

L’umanità tutta o semplicemente noi, visti con gli occhi della memoria, nella quale i ricordi e le esperienze dolorose diventano il ponte tra il nostro io che fu e quello attuale.

Ponte salvifico è la maturità, che sana le fratture prodotte dal tempo che ci ha diviso dentro, per farci finalmente scoprire il gusto della vita.

Sulle corde del bucato stendiamo i
giorni ad asciugare
pesce dopo pesce
e passo dopo passo.
Sulla gruccia la
donna che tutto sa
verifica se si lasciano
ancora dare un nome.
Ieri ne mancavano tre,
già oggi sono cinque
alla fine dell’anno
lei stacca il calendario
si siede davanti all’uscio di casa
e aspetta fin dentro al tempo
quel venditore
che le porterà intere eternità.

(2004)

Quale migliore allegoria della vita, con quelle similitudini tanto stupefacenti quanto azzeccate per regalare al lettore l’immagine più calzante di cosa provano più spesso le donne, costrette a un’esistenza di giorni affannosi, tra figli, lavoro e casa. Arrivate all’età della maturità, smettono di correre dietro alla conta dei fogli del calendario, perché ormai non ne sono rimasti poi tanti, e finalmente siedono, padrone del loro tempo e senza timore aspettano, come vestali, sull’uscio della propria casa “quel venditore“ d’eternità e finalmente iniziano a vivere intensamente il loro tempo presente.

Nudo
come il mattino svestito
come casa, strada e rosa
all’inizio del tempo.
Nessuna immagine più di te.
Solo casa
strada
rosa
e angoscia

(1978 circa )

Marianne parla a qualcuno o a se stessa, in questa poesia del secolo scorso?

In quel verso “Nessuna immagine più di te“, che si contrappone a quel tu Nudo dell’incipit, cui segue una similitudine bellissima, nella quale ci leggo la storia dell’umanità. Non è un caso che la quartina finisca con “ all’inizio del tempo“, in un’età fantastica dove il mito e la realtà si confondevano.

Odilon Redon, Riflesso
Odilon Redon, Riflesso

L’inizio della storia di ognuno di noi, quando nell’infanzia ci costruiamo un’immagine della vita che, proprio perché immaginata non è reale. Di certo ci sta una casa, una strada, una rosa e, staccata da loro, sospesa nel vuoto, tenuta per mano da una congiunzione, a corollario del processo di crescita e di conoscenza, è l’angoscia.

Madre

La mia sera
violacea, tesa di nero
ti chiama sommessa.
Talvolta ti sento poi.
Attraversi la stanza,
alla ricerca
delle orme
che erano le tue,
controlli lo stato della luce
fiori d’arancio
sulla lingua

(2008)

Il rapporto con la madre per una donna è rapporto così intimo, istintivo e molto fisico, che nella maturità, quando non ci sono più ostacoli dovuti alla presenza, la madre diventa mito da evocare sommessamente. Diventa archetipo da imitare e sguardo infinito che controlla ancora quella bambina, che ora ripercorre con i piedi nelle orme di un cammino, già tracciato dal passato. Nella sera violacea della vita i ricordi si fanno chiari e comprensibili, perché sono diventati parte di noi, che calpestiamo le stesse orme, nel rullio monotono dell’esistenza.

Questo e molto altro potrebbe essere scritto, in merito ai versi della Gruber, per questo li condivido, sperando di offrire un po’ di luce poetica, in questa rete intricata di sterpi nella quale viviamo.

 


Marianne Gruber è nata nel 1944 nella regione più orientale dell’Austria. Ha frequentato il liceo a indirizzo umanistico e ha studiato per alcuni semestri all’Università di Vienna Medicina, seguendo corsi di Psicologia con Frankl, fondatore della Logoterapia.

Interessata alla letteratura dal 1980 è moderatrice e autrice della trasmissione Club2 della televisione pubblica. Ha diretto diversi circoli letterari e ha ricoperto l’incarico di Presidentessa della Società austriaca per la Letteratura.

Ha scritto e pubblicato vari romanzi, racconti di fantascienza e libri di poesie e racconti per l’infanzia. Ha vinto numerosi premi prestigiosi e in Italia ha ricevuto nel 1995 il Premio Acerbi per l’opera Calma di vento, una delle poche opere tradotte nella nostra lingua.

Silvia Leuzzi
Silvia Leuzzi

Ho un diploma magistrale e lavoro come impiegata nella scuola pubblica da oltre trent'anni. Sono sposata con due figli, di cui uno disabile psichico. Sono impegnata per i diritti delle persone disabili, delle donne e sindacali. Scrivo per diletto e ho al mio attivo tre libri e numerosi premi di poesia e narrativa.