La Chanson de Roland: siamo sicuri di conoscere Orlando?

Chanson de Roland: Carlo Magno Durer

Quando ho letto per la prima volta Ivanhoe di Walter Scott rimasi folgorato. Tra le pagine dell’autore scozzese ho respirato un’atmosfera da favola, fatta di cavalieri, di armi che cozzano su campi smaltati di verde, eroi che si perdono in immense foreste. Qualche anno dopo invece ho scoperto la Chanson de Roland, un poema epico risalente alla fine dell’XI secolo che mi ha suscitato la stessa sensazione di indefinito. Anche qui lo spazio era lo spazio del sogno, anzi lo era ancora di più perché autentico: i prodi paladini di Carlo Magno lottavano in spazi immensi, indicati giusto con qualche dettaglio, perché era così che lo immaginavano gli uomini del medioevo.

Il medioevo di Ivanhoe, quel medioevo da fiaba che tanto mi ha affascinato non è un’invenzione dello scrittore scozzese: le sue origini affondano le proprie radici nell’immaginario medievale, cioè il modo con cui l’intellettualità dell’epoca si rappresentava. Per loro gli spazi erano simbolici, indefiniti: schiere di cavalieri, alberi che sbucano dal nulla, gli araldi e il clangore delle spade descrivono le scene in pochi tocchi, pochi attimi senza che però possiamo immaginarci un ambiente preciso. Il tempo è franto, non segue il suo corso naturale; le stesse scene si ripetono più volte, non rispettano la continuità a cui siamo abituati.

È la battaglia prodigiosa e tremenda.
Vi dan bei colpi Orlando ed Oliviero,
e l’arcivescovo più di mille ne avventa,
e certo i dodici Pari non perdon tempo,
ed i Francesi colpiscon tutti insieme.
A cento e a mille sono i pagani spenti,
e chi non fugge, non ha chi lo protegga:
vogliano o no, la vita tutti perdono.
Lasciano i Franchi ogni miglior difesa:
parenti e amici non potran rivedere,
né Carlomagno che ai valichi li attende.
In Francia scoppia una grande tempesta:
un uragano c’è di tuono e di vento,
di pioggia e grandine che senza fine scende:
cadon le folgori ininterrottamente,
c’è il  terremoto: questo accade davvero.

La Chanson de Roland, a cura di Cesare Segre, pp. 247 – 249.

Ciò che veramente affascina della Chanson è questo continuo rispecchiarsi tra la natura e l’essere umano, tra le condizioni atmosferiche e la disfatta dei franchi, che è anche la disfatta di Dio. Dal primo verso della lassa siamo immersi in una sequenza di attimi che immortalano prima il gesto del singolo eroe e poi subito dopo la furia degli elementi, in un continuum espressionista in cui le idee e i valori dei franchi si manifestano nella natura, con un’immediatezza tale da travolgerci.

A differenza delle epoche precedenti che vengono viste dai contemporanei (per esempio dal cronista Rodolfo il Glabro) come un mondo che ha perduto il senso del dovere e il rispetto nei confronti di Dio e dell’ordine da Lui impartito, il secolo XI si presenta come un crogiolo di movimenti politici e piccole rinascenze culturali. Il nuovo ordine feudale, i signori dei monasteri, il commercio sempre più fiorente conducono a un maggiore circolo di informazioni, un interesse culturale ora finalmente legato alle nuove lingue romanze.

Miniatura raffigurante le gesta di Orlando in un manoscritto delle Grandi Cronache di Francia, XV secolo.
Miniatura raffigurante le gesta di Orlando in un manoscritto delle Grandi Cronache di Francia, XV secolo.

Sono questi gli anni in cui prendono forma le storie degli eroi che verranno cantate nei poemi epici e nei romanzi medievali anche nei secoli successivi: storie con protagonisti Lancillotto, Artù e per l’appunto anche Orlando. In realtà però della figura storica di Orlando sappiamo ben poco per non dire nulla: i fatti della rotta di Roncisvalle nella letteratura storiografica medievale sono alquanto scarni: Carlo (detto poi Magno) re dei Franchi, probabilmente  entra in Spagna per aiutare un principe arabo (Sulemain ibn Al-Arabì) nella contesa che lo opponeva ad altre autorità nel nord del Regno spagnolo. Al rientro da tale spedizione l’esercito di re Carlo viene attaccato da un gruppo di montanari (forse Baschi) al valico di Roncisvalle. Una fonte (la Vita Karoli di Eginardo) cita tra le vittime dell’esercito franco un certo Rolando signore feudale preposto alla marca di Bretagna.

Questi avvenimenti datano al 778, giusto i primi anni del regno di Carlo, non ancora quarantenne. Secoli dopo, nei poemi orali che venivano cantati dai giullari e dai cantastorie, le Chansons de Geste, la spedizione diviene guerra, che si carica di numerosi elementi simbolici: Carlo è un vecchio dalla barba candida (evidente richiamo al Dio cristiano); la rotta di Roncisvalle da evento accidentale diviene il risultato di un tradimento; infine abbiamo la grande vittima, Orlando (altro evidente richiamo evangelico).

In pochi decenni il mito si diffonde in tutta l’Europa cristiana. Il testo che (ormai da quasi due secoli) riteniamo fonte originaria del poema data 1070 ed è racchiuso all’interno di un singolo manoscritto proveniente da Oxford. Possiamo solo ipotizzarne l’autore: l’explicit[3] a fine poema lo vorrebbe frutto dell’ingegno di un certo Turoldo, ma l’origine del mito resta comunque popolare, strettamente legata all’oralità. Turoldo, o chi per lui, è solo la mano ordinatrice, colui che sistema il materiale e vi conferisce una forma perfettamente cristallina, semplice eppure fitta di rispondenze.

Miniatura medievale chanson de roland

La chanson è epos, la narrazione di un’impresa eroica in cui tutto il popolo francese si riconosce, ed è così bella perché si nutre sì di propaganda, di quella propaganda che a noi moderni farebbe storcere il naso, ma la trasforma in qualcosa di più alto e profondo, in una storia che ancora a distanza di secoli non può non emozionarci. Gli antichi francesi infatti non solo empatizzavano con Orlando, ma si sentivano i suoi compagni d’arme nella lotta combattuta contro i saraceni, uomini a cui occasionalmente viene riconosciuta dignità e che vengono combattuti solo perché non credono nel Dio cristiano. Chi ascoltava la chanson presso i chiostri dei monasteri, nelle piazze dei borghi, nei pressi del castello del proprio signore durante il mercato e le feste comandate si sentiva certamente parte di un gruppo, di un popolo pronto a battersi contro il nemico invasore.

Orlando è un martire, non un fondatore di città come Enea; la sua battaglia sottolinea pure lo spirito di sacrificio di un guerriero ma al servizio di un sovrano concreto e non per volere del Fato. Meno concreti sono gli spazi dove si muove Orlando, dove muore: quella valle tra i Pirenei perde consistenza, diviene quasi uno scenario favoloso che perde quasi tutti i suoi particolari fisici, in cui spicca il verde dei campi macchiato di rosso o l’albero a cui si appoggia l’eroe prima di spirare.

Sono passati più di mille anni dal poema di Virgilio: la rivoluzione cristiana ha portato i suoi frutti. Per quanto si tratti di un poema epico, la Chanson de Roland brilla di altra luce, brucia di un fuoco differente da quello che danza armonioso nell’Eneide. Non è un testo classico per come lo intendiamo noi ma un poema medievale e del Medioevo conserva tutto il fascino e l’atavico mistero di un’epoca lontana e non ancora compresa appieno.

 

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In copertina: Albrecht Dürer, Carlo Magno, 1511-13

Redazione: Salvatore Ciaccio
Salvatore Ciaccio

Nato a Sciacca in provincia di Agrigento nel 1993, ho frequentato il Liceo Classico nella mia città natale per poi proseguire gli studi a Pavia, dove mi sono laureato in Lettere Moderne con una tesi dedicata all'architettura normanna in Sicilia.