Jacu e il suo potere taumaturgico: un romanzo di Paolo Pintacuda

Jacu, Paolo Pintacuda

Immaginatevi una mandria di pecore che pascolano placide sotto la supervisione di un ragazzino, che le tiene d’occhio da un’altura. Ad un certo punto, improvvisamente, arriva un lupo e le attacca. Una pecora, la meno lesta forse, viene sbranata: ha gli intestini fuori dal corpo e perde molto sangue. Non appena il ragazzino accorre e poggia le mani sulle ferite, però, queste si rimarginano, e tutto ciò che rimane a testimonianza di quanto avvenuto è del sangue sulla pecora.

Il ragazzino si chiama Jacu, ed è il protagonista dell’omonimo romanzo di Paolo Pintacuda. Prima ancora di nascere, era già famoso a Scurovalle, un minuscolo paese di montagna tra Girgenti e Palermo, perché sarebbe stato l’ultimo settimino nato nel diciannovesimo secolo. Si diceva infatti che i settimini avessero la capacità di curare ogni male con il solo tocco delle mani. In effetti Jacu, come testimonia l’episodio della pecora, pareva essere dotato di un potere superiore che lo rendeva in grado di guarire i malati.

Avere il carisma di guaritore in una borgata tanto piccola come quella di Scurovalle era però tutt’altro che semplice. C’era chi credeva nelle sue capacità taumaturgiche e chi credeva che fosse semplicemente strambo. I compaesani iniziarono però a sviluppare un rancore nei suoi confronti quando i quindici ragazzi di Scurovalle vennero chiamati al fronte, a combattere nella Prima Guerra Mondiale. Per un caso fortuito il settimino non venne chiamato alle armi, ottenendo l’invidia di tutto il paese, che lo accusava di aver fatto ricorso ai suoi poteri per non andare a combattere.

Prima guerra mondiale
Soldati italiani in una postazione di montagna durante la prima guerra mondiale (credits: Corriere.it).

«L’intenzione di servirsi del suo carisma di guaritore per salvare gli undici scurovallesi ancora al fronte», mi spiegò, «era prevalsa sulla paura della guerra, ma più di tutto sull’impulso alla vendetta»

Jacu decise così di arruolarsi volontariamente e di andare alla ricerca dei quindici compaesani per poter utilizzare i suoi poteri su di loro. Ritrovarli non era però semplice come sperato, e la guerra era ben peggiore di come Jacu l’avesse immaginata.

«Erano ragazzi che avrebbero dovuto avere più domani che ieri», mi confidò con voce tremolante D’Auria, «ma per quello che ne potevano sapere in quei momenti la vita gli stava promettendo la speranza di qualche altra ora e nulla più»

Un ragazzo eroico, un paesino remoto e arcaico e una prosa ricercata rendono questo romanzo dall’ambientazione storica una lettura scorrevole e imprevedibile. “Raccogliticcio”, “dabbenaggine”, “carabattole” sono solo alcune tra le parole meravigliose e ormai poco utilizzate che l’autore adopera durante il suo racconto e che gli conferiscono, riprendendo le parole con cui è descritto da Fazi, «il sapore di un classico», che proprio per questo vale la pena di esser letto.

bombardamenti russi a Kramatorsk, febbraio 2022 (credits. Fattoquotidiano.it)
Bombardamenti russi a Kramatorsk, febbraio 2022 (credits. Fattoquotidiano.it)

Il tema centrale è la guerra, descritta in tutto l’orrore che comporta, nel terrore dei soldati e nelle scene raccapriccianti di morte. L’autore descrive con crudezza le scene della guerra, senza mai però sfociare nella pornografia del dolore, ed è proprio questo aspetto a rendere così potenti le immagini che descrive.

Oggi è ancora più straziante leggere queste pagine di un capitolo della storia lontano cent’anni eppure estremamente simile a ciò a cui stiamo assistendo. La guerra è la stessa, fa tremare la terra sotto i piedi e rende la morte non soltanto quella misericordiosa meta finale a cui si giunge dopo mesi di sofferenza o un evento inatteso e improvviso, ma anche qualcosa di osceno e ripugnante, come realizzò Jacu vedendo la sorte toccata agli altri soldati, menomati o ridotti a brandelli: tutte quelle immagini ripugnanti di corpi dilaniati gli fecero pensare che «l’Onnipotente si fosse dimenticato di tutti loro».

Non è sicuramente facile affrontare una lettura del genere nel momento in cui viviamo, in cui siamo costantemente immersi nelle notizie drammatiche che suscitano un vasto senso di impotenza e disillusione. Eppure leggere Jacu durante questi giorni drammatici mi ha resa ancora più consapevole rispetto all’orrore della guerra. Al di là dello stile, dei colpi di scena, della trama ben costruita, ciò che mi porterò dietro di questo romanzo è sicuramente la sensazione di arricchimento e la consapevolezza di aver acquisito maggiore comprensione del presente tramite il passato.

 


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Vittoria Pauri
Vittoria Pauri

Alla domanda “Qual è il tuo motto?" non avrei esitazione a citare una frase di Gandhi: il miglior modo per trovare se stessi é perdersi nel servizio degli altri. Le due cose di cui non posso fare a meno sono la curiosità di capire ciò che mi capita intorno e un quadernetto su cui scrivo tutto quello che mi passa per la testa e su cui colleziono frammenti di libri, poesie e conversazioni.