Conversazione con Sandro Frizziero: la verità dei folli

Sandro Frizziero, Confessioni di un Neet

Torniamo a parlare di Confessioni di un Neet, il libro di Sandro Frizziero che abbiamo recensito qualche tempo fa. Nel frattempo ha avuto un grande successo, incontrando critiche estremamente favorevoli di studiosi come Tiziano Scarpa. Volendo sintetizzare il romanzo, si potrebbe dire che è un’invettiva, un’amara e divertentissima invettiva contro tutto e tutti da parte di un NEET, uno di quei giovani che non lavorano e non studiano; un NEET tuttavia abbastanza particolare, che arriva ad annullare se stesso al punto da non uscire più di casa, e addirittura volersi trasferire nella rete, rendersi un puro personaggio particolare. In occasione della fiera del libro di Roma abbiamo potuto incontrare il suo autore, e ne abbamo approfittato per porgli qualche domanda.

Entriamo subito in medias res: leggendo ho avuto l’impressione che lei, come si soleva dire di Arlecchino, scherzando, abbia voluto dire la verità. Un po’ come l’Enrico IV di Pirandello, mi sembra che lei, per poter dire qualcosa che non vogliamo sentirci dire, abbia cercato – letterariamente – di fingersi pazzo…

Sì, c’è la poetica del folle, del fool che dice la verità. Sicuramente può esserci questo elemento. Qui chiaramente un grande ruolo lo gioca l’ironia, che uno strumento attraverso cui si possono far passare dei messaggi importanti – o meglio, più che messaggi, delle domande: era questa la mia ambizione, non dare delle risposte. Anche perché, oggi, diciamocelo, chi prenderebbe sul serio un romanzo serio? Quindi bisogna, senza scivolare nel comico, che è qualcosa per me di estraneo, creare una traccia di ironia, un filo ironico che produca quella prospettiva straniante mediante la quale il protagonista può farci nascere qualche domanda. Il protagonista del romanzo, essendo un auto-escluso, può permettersi di essere, come dire, un folle: dire le cose come gli vengono in mente senza poi dover rendere conto a qualcuno.

È possibile creare un personaggio che sia realmente rappresentativo dei giovani di oggi? In altre parole, c’è una sostanziale diversità tra i giovani che rende impossibile una mappatura, oppure al contrario assistiamo ad un’omologazione, per cui i giovani si assomigliano un po’ tutti?

Viviamo nell’individualismo più sfrenato, e quindi verrebbe da dire che è impossibile parlarne unitariamente; come ho detto altre volte, tra i neet c’è chi ha abbandonato gli studi precocemente perché ha trovato un lavoretto, e quindi voleva avere un po’ di soldi in tasca, ma poi ha perso il lavoro e senza diploma non è riuscito a reinserirsi; viceversa c’è il laureato, specializzato, che dopo due o tre stage ha smesso di cercare, perché dice: «io di stage non ne accetto più», e quindi magari per un anno si siede.

Sandro Frizziero
Sandro Frizziero

Sono storie diversissime, tanto che io non credo che i neet abbiano pienamente coscienza di esserlo. Se chiedessimo a un neet se fa parte di questa categoria, probabilmente risponderebbe che non lo sa, che magari qualche curriculum lo manda… Dunque, mi verrebbe da rispondere che non c’è possibilità di un racconto unitario; d’altra parte però è vero che condividono un destino comune, sicuramente del disagio, di una sofferenza interiore – perché non credo che, nonostante quello che ci viene detto sui bamboccioni, chi è in queste condizioni ci stia volentieri.

I personaggi che si mostrano nel suo romanzo sono tutti mediati dallo sguardo del protagonista, e vengono rappresentati come stereotipi, in maniera bidimensionale. Lei pensa che in questa società manchino persone di spessore, oppure è semplicemente il modo che ha il suo personaggio di vedere le cose?

Si poteva anche andare oltre: è il modo che abbiamo tutti quanti di vedere le cose. Forse il fatto di tendere a rappresentare gli altri come se fossero stereotipi, quasi fossero dei tipi fissi, soprattutto le persone con le quali non siamo esattamente in rapporti di conoscenza approfondita, è qualcosa che ci caratterizza, quando invece potremmo provare a pensare che ogni persona ha una sua dimensione, ha una sua fisionomia interiore, i suoi desideri, le sue aspirazioni, i suoi punti deboli… ecco, a questo non pensiamo mai quando ci mettiamo in relazione agli altri. Ovviamente il mio protagonista essendo un misantropo è molto agevolato in tutto ciò. Però è qualcosa che in qualche modo facciamo tutti noi.

Quanto c’è, e soprattutto quanto non c’è, di Salinger nel suo romanzo?

Sicuramente c’è il romanzo di formazione, anche se è un romanzo, diciamo… involuto su se stesso. Anche il personaggio di Salinger è un antieroe, dopotutto. Stiamo parlando di una categoria a cui tra l’altro è diventato difficile fare riferimento, perché è qualcosa che nobilita abbastanza, e io tendo a non volermi autonobilitare. C’è questo aspetto; però poi le condizioni contestuali sono tutte diverse; le dinamiche sono completamente differenti. La presenza della rete è qualcosa che incombe su tutto e sulla percezione del mondo del mio personaggio.

Sandro Frizziero Confessioni di un NEET copertina

Ecco, appunto, la Rete: secondo lei la tecnologia contemporanea è uno spartiacque antropologico, come poteva esserlo, per esempio Ulisse, il cui mito racconta del passaggio dall’uomo mitico all’uomo storico, rispetto, per esempio ad Achille, che era in tutto e per tutto un uomo arcaico; oppure pone delle questioni sì diverse rispetto al passato, ma non così cruciali?

Forse questo non siamo ancora in grado di dirlo. Stiamo vivendo un periodo di passaggio che non è solo l’uso di un nuovo medium per comunicare. Non siamo di fronte al passaggio tra la scrittura a mano e la stampa; non è la radio. Siamo di fronte a un fenomeno più ampio, che riguarda proprio la nostra percezione delle cose – e a questo si aggiunge la globalizzazione economica, che amplifica questo senso di appartenenza a quello che si chiama “villaggio globale”.

Quindi sono dinamiche un po’ più profonde. Ma l’effettivo ruolo di queste dinamiche non siamo ancora in grado di coglierlo appieno, sia per quanto riguarda i rischi, sia per quanto riguarda le opportunità. Non vorrei essere apocalittico, ma nemmeno integrato, come diceva Eco: quindi né scagliarmi contro internet, la rete, i social… perché è una battaglia persa; ma nemmeno farne il cavallo di battaglia del progresso. Ci sono partiti politici che fanno della rete il baluardo di un’idea futura di umanità, ma nemmeno questo mi sentirei di dirlo. Bisogna forse attendere, e vedere poi cosa ne diranno, come effettivamente è cambiata l’umanità dopo la rivoluzione digitale.

Nel suo libro mostra una notevole capacità di dissimulazione: là dove c’è una materia scrittoria molto forte, molto strutturata, riesce invece a dare l’impressione di una scrittura naif. Ad un certo punto il suo personaggio commenta uno di quei decaloghi sul successo che si leggono in rete: sembra un pour parler, e invece è il ribaltamento di un’ideologia. E questo ribaltamento, nel suo romanzo, è sistematico.

È l’opposto dell’idillio: l’estate è una stagione tremenda, le vacanze si tramutano in un inferno; gli uomini di successo sono in realtà dei falliti… C’è qualcosa di eliotiano nel suo romanzo: è una terra desolata, in cui la primavera, che dovrebbe essere la stagione più bella, diventa invece la più crudele.

Sì, il rovesciamento prospettico è l’attitudine, l’approccio del protagonista. Ha detto bene: naif. Perché poi il protagonista finisce per essere naif. È anche complottista, si affida non si sa quanto ciecamente a queste verità del web, e quindi è sempre sostanzialmente sul filo del rasoio. Non capiamo se ci crede veramente o meno. L’ambiguità è la cifra di questo personaggio. Secondo le mie intenzioni, le cose più interessanti nascono proprio da questo rovesciamento, che genera delle dissonanze rispetto alle nostre convinzioni, al nostro modo di vivere. Non condividiamo quello che dice il protagonista, perché sono affermazioni caricaturali, paradossali. Ma credo che debbano far nascere in noi qualche attrito interiore, e quindi far nascere qualche dubbio, qualche domanda; è tutto qui il meccanismo.

Gabriele Stilli
Gabriele Stilli

In tenera età sono stato stregato da quelle cose che si scrivono andando a capo spesso, e gli effetti si vedono ancora. Mi sono rassegnato, da diversi anni, a includere l’arte tra le discipline umanistiche e non nel rigoroso ambito delle scienze. Nutro ancora qualche dubbio, però.