Più che un articolo, è una richiesta. Disperata. Alla Mondadori, che non stampa più da anni L’epopea di Gilgamesh a cura di Giovanni Pettinato. Detta così, sembra una richiesta da mettere poco più in alto delle preoccupazioni di non trovare il colluttorio della argento, per cui, giuro, c’è gente che farebbe follie. Per non parlare del dentifricio fluorescente rosa. No, non capite: l’edizione di Giovanni Pettinato è un importantissimo progetto editoriale, l’unica edizione italiana filologicamente accurata e integrale di questa antica epopea, uno dei massimi lavori di traduzione, ricerca, di acribia di altri tempi, una perla…
Sì sì amico, bellissimo tutto, scusa se ti interrompo, ma… famo a capisse… che è ‘sto Gilgamesh? No, perché di pippotti ci riempiamo tutto l’internet, e anche basta, eh.
…
Sì. Ok, ripartiamo da zero. D’accordo. Guarda, diciamo così. È come se non si stampasse più l’Iliade, o l’Odissea. Come se a un certo punto il Faust di Goethe circolasse solo in riduzioni, e nessuno leggesse più l’originale, nessuno lo traducesse più. È la stessa cosa. La stessa gravità.
Evabbè, mo’… che sarà mai.
Che sarà mai. Eh già, che sarà mai. Se non si stampasse più la Bibbia, che diresti? Se tutti i libri di Storia sparissero di colpo…
Ora non fare Ray Bradbury per favore.

No no ok, hai ragione. Ma vedi, è uno scandalo questo. Un silenziosissimo scandalo. Il Gilgamesh è l’epopea delle epopee, è quella che ha dato origine a tutto. Anche ad Omero. Non ci saremmo noi, senza il Gilgamesh. Gilgamesh è la Lucy della letteratura. Te lo ricordi Lucy, l’australopiteco ritrovato in Etiopia negli anni Settanta? Ecco, Gilgamesh è come lei.
Si tratta di un testo capitale, della prima opera letteraria, sacrale e collettiva della nostra civiltà. Il primo testo epico. A scuola sentiamo tanto parlare dell’epos, di questo termine oscuro, che rimanda alle gesta di un eroe o più eroi, al canto orale di un popolo, di una collettività. E ci dicono che l’epos è proprio dell’Antica Grecia, che è nato lì, e che la Grecia è la Grecia e noi veniamo da lì, dall’origine prima, dal punto zero. Che è Omero. Lo storico Paul Meyer diceva che i Greci sono così importanti per noi perché non ci sono «Greci prima dei Greci».
Greci…. «Ma della Grecia, proprio…!»
Non fare il cretino, dai! Seguimi. I Greci sono sempre stati ritenuti il punto zero della nostra Storia. Prima del quale non c’era niente, c’era la pre-istoria. Lucy, gli australopitechi e i loro bisnipoti per farla breve. Sì, ok, c’era l’antico Egitto, le piramidi, lo sappiamo tutti… ma quelle cose lì non c’entrano niente con la nostra civiltà. È l’Oriente, dicevano. Chissenefrega se poi l’Oriente è a sud, ma pazienza…
Comunque, venendo al sodo, la questione è questa: che tutte queste idee sono un gigantesco granchio. Sono un errore madornale, che oggi viene più o meno ripetuto nelle scuole da professori poco aggiornati, quando invece si sa da anni che non è così. I greci i loro maestri ce li avevano eccome. Proprio gli egizi, intanto; e poi i Sumeri, gli Assiri, i Babilonesi. C’è uno scrittore greco, di epoca tarda, Luciano di Samosata. Lui diceva che Omero era nato a Babilonia. Diceva un sacco di fregnacce, questo Luciano, inventava, prendeva in giro. È stato il primo scrittore fantasy della Storia. Ma, forse, non è che questa volta Luciano stava dicendo, a mo’ di scherzo, una verità? Non era un modo di rigirare il dito nella piaga?
E che ne so io…
Figurati, non pretendo una risposta. Però il dubbio rimane. E questo dubbio aumenta più leggiamo le opere dei Sumeri, degli Assiri, dei Babilonesi. E le loro storie. Come il Gilgamesh, la prima epopea mai esistita. È per questo che studiare il Gilgamesh è importante, e stamparlo ancora di più. Perché ci porta a quello che c’era prima di Omero, prima dell’anno zero, prima i tutto. Quando c’erano soltanto le mazze di pietra e la forza bruta, prima che l’oriente si chiamasse oriente e l’occidente avesse un nome. Prima, capisci? Prima…
Quando c’erano solo le ziggurrat e il mondo era sabbia e deserto, sabbia e sole caldo e poi le foreste, le foreste da saccheggiare, da cui prendere tutto, e poi la guerra e il sangue, e la forza era il metro di paragone da uomo a uomo e c’era molto da imparare, ma tutto era lì, già contenuto, già conchiuso e doveva essere solo aperto e sviscerato?
Esattamente. C’era un uomo a Babilonia, un tale che forse aveva nome Sinleqiunnini (non sappiamo se fosse cieco come il nostro Omero) ed era uno scriba. Proprio come il nostro Omero, ha tagliato e cucito assieme tutti i racconti dei Sumeri, che erano sparsi in molte redazioni, di cui rimangono alcuni frammenti, e tagliando e cucendo, tagliando e cucendo, ha dato un senso unico a tante storie e le ha messe a sistema.
Era nato il poema epico. E narra l’essenziale: narra l’amicizia, l’amore, il sesso, la ricerca dell’immortalità. E gli scontri con i nemici, e le mazze che grondano sangue e le foreste incontaminate e selvagge.
C’è già tutto, tutto quello che valeva la pena di essere raccontato. Tutto, tutto scritto in quelle tavolette di caratteri che sembrano tanti insetti. E nonostante il fatto che lo leggiamo in traduzione, nonostante le lacune, queste parole che appaiono e scompaiono e sembrano venire direttamente da un altrove, dall’altrove per eccellenza che è il passato, il passato lontanissimo, nonostante tutto questo c’è un ritmo, una fascinazione incatenante e austera.
Come una Bibbia primordiale.
Esatto, bravo. Come la Bibbia. Anzi, anche la Bibbia ha preso in prestito molto. Oltre al racconto del Diluvio Universale, doveva essere una sorta di Bibbia dell’epoca, o meglio, un testo sapienziale, un testo di sacerdoti, da custodire, perché dentro c’è qualcosa di prezioso.
Prezioso…
Prezioso, proprio.
Ma scusa…
Dimmi…
Scusa se cambio discorso: ma è proprio tutta colpa della Mondadori? No, scusa se torno…
Ma no, infatti! Non è mica colpa della Mondadori. Se l’epopea di Gilgamesh fosse conosciuta e apprezzata come l’Iliade e l’Odissea, se fosse stata studiata per secoli, oggi non mancherebbero copie in circolazione. È colpa nostra, delle nostre scuole, della nostra cultura sempre più parcellizzata, sempre più accademica. Cosa importa alla gente del Gilgamesh. Questo è alla fine il ragionamento; e poi lo facevi anche tu, all’inizio, ti ricordi? Abbiamo sempre un po’ paura di imparare qualcosa di nuovo, come se alla fine non ne valesse la pena, abbiamo sempre paura di essere annoiati, e magari ci perdiamo dei pezzi per strada, disorientati come siamo dall’ansia di sprecare il nostro tempo nella miriade di articoli, saggi, libri, interviste e tutto quel pasticcio che abbiamo fatto e continuiamo a chiamare cultura…
Edit: Finalmente, dopo sette anni da questo articolo, Adelphi ha pubblicato una nuova edizione del Gilgamesh a cura di Andrew George, molto più filologica completarispetto a quella pubblicata molti anni fa nella Piccola Biblioteca, che sostanzialmente era una semplice riscrittura moderna del testo antico. Non essendo specialisti, non faremo paragoni qualitativi tra questa nuova edizione e quella di Pettinato, chiaramente, ma ci sembra che manchi una parte della tavoletta di Berlino e Londra (EpCl Tav.X), quella in cui la taverniera Siduri si rivolge a Gilgamesh. Non sappiamo le ragioni di tale omissione, ma se foste curiosi abbiamo dedicato a quella tavoletta un altro articolo: Un mesopotamico carpe diem.