La vita davanti a sé, di Romain Gary: un sorriso amaro

Romain Gary, La vita davanti a sé / Vincent Van Gogh, Ragazza nel bosco, 1882

«Signor Hamil, si può vivere senza amore?»
Non ha risposto. Ha bevuto un po’ di tè alla menta che fa bene alla salute. Da un po’ di tempo il signor Hamil portava sempre una jellaba grigia, per non farsi trovare in giacchetta al momento della chiamata. Mi ha guardato ed è rimasto in silenzio. Doveva pensare che fosse ancora vietato ai minori e che c’erano cose che non dovevo sapere.
«Signor Hamil, perché non mi rispondete?»
«Sei molto giovane, e quando si è molto giovani ci sono delle cose che è meglio non sapere».
«Signor Hamil, si può vivere senza amore?»
«Sì» ha detto, e ha abbassato la testa come si vergognasse.
Mi sono messo a piangere[1].

Un sorriso amaro, un paesaggio illuminato dalla bella, ma malinconica luce del meriggio; una lacrima trattenuta, oppure un vecchio rimpianto: tante possono essere le definizioni per questo piccolo romanzo di Romain Gary. La vita davanti a sé è sicuramente uno scorcio chiaro attraverso le nubecole indistinte della vita. Per lo meno dal punto di vista letterario.

Forse è questa stessa sicurezza così infantile e così salda ad avermi incantato. Si legge d’un fiato (quasi in apnea) e alla fine sembra di riemergere dagli abissi dell’Oceano Atlantico. È un libro che, davvero, ti fa dimenticare di respirare. Oltretutto, non che mi aspettassi chissà cosa: vidi subito, però, che già dalla quarta di copertina si strombazzavano miracoli e pareri entusiasti.

La prudenza non è mai troppa, meglio non fidarsi di questi commenti scritti per catturare i lettori: di certo,  se devono vendere un libro, non ne elogeranno la tetra noia nel leggerlo. Ma, strano a dirsi, dopo dieci pagine, già m’imbatto in una perla che da sé assorbe una buona metà dei soldi spesi per l’acquisto: da questa sezione iniziale ho estrapolato il succo poetico dell’introduzione. Inutile dire che, il resto, sia un crescendo in positivo. Non sarei qui a parlarne, evidentemente.

Rembrandt van Rijn, Uomo in una stanza, 1630
Rembrandt van Rijn, Uomo in una stanza, 1630

Al centro del mondo di Momò, il bambino musulmano protagonista di questa storia, sta l’amore. E forse non è un caso che il punto di vista delle cose ruoti attorno alle considerazioni di questo ragazzino di dieci anni, quasi che Romain ci voglia dire quanto – per gli adulti – sia difficile mettere l’amore al centro di ogni cosa.  Tuttavia, anche per Momò  la questione non è semplice: orfanello cresciuto insieme ad altri figli di prostitute da Madame Rosa, vive l’infanzia scisso tra l’amore incondizionato per questa donna che l’ha salvato e il desiderio di abbandonarla, sola, alla sua vecchiaia. Madame Rosa, infatti, ha via via perso tutti i bambini affidatele e Momò resta l’unico a vegliare sull’anziana donna.

Nonostante ciò, con Madame Rosa ha stretto un legame speciale: con lei divide i pasti, i sogni e gli incubi; Madame Rosa si sveglia ogni notte, e dopo essersi vestita, prende la valigia e aspetta che salgano nella sua camera le SS per riportarla ad Auschwitz; Momò, invece, sogna che ogni notte una leonessa entri in camera sua, salga sul letto e lo lecchi: è talmente sicuro dell’esistenza del felino che gli altri bambini hanno paura di dormire con lui che sorride sornione: «[…] il vecchio Hamil gli ha raccontato che le leonesse amano i propri cuccioli e non li abbandonerebbero mai!».

È, insomma, un romanzo da scoprire pagina dopo pagina. Sono convinto che risveglierà molti sentimenti sopiti, cullando invece quelle tensioni che si accumulano con la vita adulta. Basta confondersi con Momò nel gioco sbarbato della vita, e guardare le cose con gli occhi di un bambino nato per sognare per scoprire che, a volte, è bene non guardarsi i piedi mentre si cammina e scrutare lontano, nel cilestre dell’orizzonte, per vedere tutto quello che rimane davanti a noi.

 

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Romain Gary. seudonimo di Romain Kacev, nacque nel 1914 in Lituania, ma si trasferì da giovane a Parigi. Combatté nella seconda guerra mondiale, e alla resistenza polacca contro i tedeschi è ispirato il suo primo romanzo Formiche a Stalingrado (1945), Nel 1956 vince il Gouncourt con Le radici del cielo. Poco più di un anno dopo il suicidio della seconda moglie, si diede la morte nella sua casa a Parigi. In Italia i suoi romanzi sono pubblicati da Neri Pozza.

Mattia Lo Presti
Mattia Lo Presti

Cercatore d’Essere; Ignobile scrittore di poesie; Fanatico lettore onnivoro. Sono nato a Como nel 1993. Mi sono diplomato al Liceo Classico A. Volta lottando principalmente contro la pigrizia e la matematica. Dimenticavo: sono recidivo. Per questo, forse, mi sono laureato in Lettere Moderne (indirizzo filologico-letterario) presso l’università degli studi di Pavia. Ora vivo a Barcellona.