Paolo Uccello, artista fiorentino, è attivo tra la prima metà del Quattrocento e la seconda metà dello stesso secolo. Il quadro di sopra appartiene alla fase finale della sua carriera artistica segnata da un revival tardogotico che ne rende artificioso lo spazio sino a creare un’atmosfera di sospensione, una dimensione quasi di favola. La caccia, fatto cruento e dinamico, sembra quasi congelarsi, coagularsi in una serie di spinte e correnti che, vertiginosamente ci introducono nello spazio della foresta, nel luogo topico di quello svago cortese (che può essere la caccia al cervo o al cinghiale, come preferite).
Oggi le foreste sono quasi del tutto scomparse, sono davvero pochi i lidi verdi rimasti al mondo. Ma l’uomo medievale, l’uomo del nord, che viveva circondato da queste masse verdi, sviluppava, quasi sicuramente, una continua interazione con la foresta e ciò che da essa derivava. La foresta era la sede del fantastico, la sede del sovrannaturale,uno dei luoghi dove operava il demonio.
Sicuramente lungo il millennio medievale il concetto di foresta si è evoluto, ha assunto di volta in volta e di luogo in luogo un valore differente; la penisola italiana vive fuori dal paesaggio forestale: profondamente urbanizzata durante la dominazione romana conserva ben pochi, ampi appezzamenti di suolo boschivo. Anche per questo motivo nelle narrazioni nostrane, antiche o recenti, l’Italia non può essere eletta come scenario di avventure mirabolanti tra fusti e verzura, alberi e foglie.
Per conoscere le foreste, le vere foreste, dobbiamo invece incamminarci verso nord, inoltrarci nell’attuale Germania o in Francia: proprio in quest’ultima nasce e si sviluppa, negli ultimi secoli del Medioevo, una letteratura fantastica che vede nel genere del romanzo, che si estende grazie a molti autori in diversi cicli (ivi compreso quello bretone) una massiccia presenza di avventure, anzi di avventure nei boschi o ancora meglio di avventure fantastiche nei boschi.

Perceval, ad esempio, protagonista dell’ultimo romanzo di Chrétien de Troyes, vagabonda in una foresta davvero molto estesa così come fa Yvain che addirittura regredisce allo stato di selvaggio per tutta la prima parte del racconto. Ecco, la foresta, durante il XII secolo, secolo in cui scrive il nostro autore, è sede dei selvaggi, di esseri antropomorfi la cui natura si colloca a metà strada tra la bestialità e l’umanità civilizzata e dunque civilizzatrice. Yvain, grazie all’aiuto di un eremita, pure lui assiduo frequentatore di luoghi selvaggi o quantomeno abitatore autoescluso(si) dalla comunità, non perde del tutto la sua umanità e, una volta ritornato cavaliere, sarà obbligato ad affrontare proprio quella foresta che lo ha condotto ad uno stato di bruto per riottenere l’amore della sua bella.
Come sottolinea Jacques le Goff in un saggio dedicato all’analisi del romanzo (Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale), lo scenario in cui opera Yvain è comunque quello dei grandi dissodamenti che caratterizzano gli ultimi secoli del medioevo francese: già dall’XI secolo sempre più terreno sarà infatti tolto alla foresta e usato come terreno coltivabile. Il selvaggio incontrato da Yvain poco prima dell’inizio della sua follia sta dissodando il terreno, l’eremita che lo nutre e lo conserva umano, cammina su un terreno appena dissodato.
Eppure la foresta, come in questo caso, non è solo luogo di perdizione e poi di salvezza, spirale di avventure e gesta cruente contro mostruosità di vario genere, scenario di follia in cui spesso restano vittima proprio gli stessi alberi che, come nel caso di Orlando, saranno strappati dal nudo eroe: la foresta, nei primi secoli del Medioevo, è in realtà il deserto dell’Occidente.
L’eremita incontrato da Yvain, di fatti, non è un abitatore nuovo, un coinquilino recente degli spazi verdi al di là dei campi. Il modello eremitico di origini egiziane,poi greco le cui radici affondano su, sino ai primi secoli dell’era cristiana, vede la resistenza-residenza di pii uomini nel deserto, quel deserto che aveva accolto gli ebrei di Mosè fuggiti agli egizi e che aveva messo alla prova Gesù. Solo che, fisicamente, cioè come concreto spazio fisico, il deserto non si trova in Europa. Quale luogo più adatto dunque per vivere in solitudine e per combattere contro il Maligno se non la foresta? La fitta e oscura foresta, cenacolo di spiriti diabolici?

La foresta, in entrambi i casi, è una prova o, più precisamente, è il luogo dove spesso l’eroe di un non meglio specificato romanzo deve affrontare di volta in volta quelle che sono le prove più violente e destabilizzanti che la società che lo crea ritiene razionalmente collocabili sotto l’intricato manto verde. Certo ciò è valido più per Yvain che per l’eremita. Ma al di là delle più o meno grosse differenze, rimane un ultima annotazione da fare, una nota relativa alla letteratura commerciale contemporanea.
Se infatti nelle favole il bosco è sempre un passaggio obbligato che si contrappone al castello o al villaggio (Cappuccetto Rosso incontra il lupo e la tentazione, Aurora invece si nasconde da Malefica) a livello popolare oggi resta, quasi sempre, luogo di prova o di smarrimento. Harry Potter (SPOILER ALERT) è proprio nella Foresta Proibita che incontra per la prima volta la sua nemesi; ma perché la foresta a un tiro di sputo dal castello? La contrapposizione tra sicuro-pericoloso è immediatamente evidente (non fosse che per il nome).
Ma le foreste contemporanee più interessanti restano quelle di Tolkien dove sono gli stessi alberi a muoversi e dove un salice piangente, un salice soffocato di rabbia è pronto a divorare uno hobbit, hobbit che viene prontamente salvato da uno dei soggetti più interessanti e mitici creati dal professore inglese Tom Bombadil. Ancora la foresta di Marion Zimmer Bradley, dove Artù ha il primo rapporto sessuale (in una grotta, come i nostri cari Enea e Didone) e dove Morgana si perde nello spazio e nel tempo e nella magia.
La foresta è molte cose: luogo di svago, banco di prova contro mostri (i più disparati), sede del fantastico e delle sue infinite prove. La foresta è azione.
In copertina: Paolo Uccello, Caccia Notturna, tempera su tavola, 1470 circa.; Ashmolean Museum, Oxford.
Per approfondire: il testo che ho usato come riferimento per l’articolo è contenuto nel volume Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale di Jacques Le Goff, per gli Editori Laterza. Riguardo i dissodamenti nelle campagne e la relativa crescita economica cfr. G. Duby, L’economia rurale nell’Europa medievale. Francia, Inghilterra, Impero, sempre per gli Editori Laterza.
Le opere letterarie cui faccio riferimento sono: Chrétien De Troyes, Il cavaliere del leone, Edizioni dell’Orso; J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, Salani Editore; J. R.R. Tolkien, Il signore degli anelli, Bompiani; M. Z. Bradley, Le nebbie di Avalon, Tea Edizioni.