Mazzucchelli è una linea sicura su un foglio. Una linea che cambia, si arrotonda, che torna in spigoli, che si aggroviglia; Mazzucchelli è il lettering inconfondibile dei suoi balloons, a ogni personaggio il suo carattere, che quasi lo definisce più dello stesso tratto. E sembra di sentirli davvero parlare, con le loro pronunce varie, diversissime, ora blese, ora affettate, ora popolari, quotidiane; li ascolti parlare, e finisce che te li ritrovi dentro anche molti giorni dopo lettura, anche se sono personaggi fatti di carta, a due dimensioni, fatti di linee, di una linea che si muove e che cambia ad ogni vignetta.
Asterios: professore di architettura, uomo puntuale, affidabile, di quelli che vivono senza sbavature come le linee rette che sanno disegnare. Di quelli che in tutto vedono solo due cose, il bianco e il nero, l’on e l’off, il maschile e il femminile. Di quelli, come se non bastasse, che amano farsi notare, farsi vedere, ascoltare e ascoltarsi.
Hana: tutto l’opposto. Accademia d’arte, scultura moderna; e professoressa, ovviamente. Nata da genitori giapponesi, unisce il candore della tradizione orientale ad una caparbietà nel condurre una vita sempre in ombra, sempre seconda a qualcuno, ai suoi genitori, a suo fratello, al suo uomo. Asterios; Hana: che incontro. Sembra anche questo uno dei binomi cari al nostro protagonista: giorno/notte; freddo/caldo; cervello/cuore. Due, due, sempre due. Anche Asterios, ad un certo punto, diventa duplice.
E così scopriamo Ignazio, il gemello che doveva nascere e invece morì quando nacque Asterios. Un Asterios gemello, che poteva esistere, e invece no: tutto ciò che Asterios avrebbe potuto essere, e non è diventato. Se lo sente sempre vicino, sempre di fianco. Ogni tanto vorrebbe voltarsi, per vedere che non sia lì, a spiarlo. Vorrebbe essere lui a spiarlo, a filmarlo, e poi sorprenderlo. «Ah, sei lì! Ci sei davvero allora!».
E forse si sentirebbe meno il suo giudizio addosso, questo essere due, due, sempre due, mai uno. Stiamo entrando nella parte più arcana della graphic novel, quella che ti fa rimanere lì, dubbioso, a pensare, e qualcosa ti sfugge sempre, non riesci mai ad abbracciare in un’unico sguardo la multidimensionalità del romanzo.
Ci pensi su, e, ad un certo punto, tutta questa storia degli opposti apppare un errore di prospettiva. Sembra perfetta, ma in realtà c’è qualcosa che non funziona, un’interferenza, una scintilla che, se lasciata indisturbata, prende fuoco, e incendia tutto. Era una notte di temporale, in cui le linee proprio non venivano dritte, nel disordine di una casa da vecchio scapolone, e alla fine, era meglio starsene a letto a guardare la tv. Ad un tratto, un fulmine; la fiammata. Solo il tempo di infilare le scarpe e buttarsi fuori.
Asterios allora ricomincia daccapo, e guarda il mondo per una seconda volta, forse con gli occhi di Ignazio, in una città che non conosce, in un mondo diventato improvvisamente nuovo ed oscuro. Niente riga e squadra: rimangono solo le sbavature. È il momento di guardarsi dentro, per catturare il grande altro che ognuno di noi ha in se stesso, sprofondarci, e uscirne. E scoprire quante persone sono dentro di te, quanto il mondo è complesso e non può essere compreso a colpo d’occhio (proprio come quest’opera).
La dualità è solo un modo di definire la realtà, e forse quello più deliberatamente schematico: l’esistenza non è semplicemente una somma aritmetica. Uno più uno non fa sempre due. Se metto insieme due mele, è vero, ma se sommo due gocce insieme, non ottengo due gocce: ne ottengo una più grande, come si diceva in un film di diversi anni fa, Nostalghia, di un certo Andrej Tarkovskij (il cui nome sembra essersi perso nelle tenebre).
E, alla fine, quando hai chiuso di nuovo il volume, ne sei sicuro: la vita sembra funzionare così, con questa storia degli opposti. Invece (e, più che le parole, ce lo dicono i tratti, i segni) i due opposti sono mescolati assieme, sono lì, ma si confondono tra loro. L’hai scoperto solo facendo tutto il viaggio, solo nel momento peggiore, in cui sei solo, e cerchi di capire chi sei; solo sapendo che, alla fine, nulla si disperde veramente, e, se vogliamo, possiamo ritrovarlo da qualche parte, e, forse, ci aspetta ancora. E allora vedi i due opposti che si lambiscono, si mescolano lentamente, sotto gli occhi di una realtà apparente che fa da sfondo, immobile, quasi ad ammirare quella lunga, primordiale danza a due.