White Girl, di Elizabeth Wood: inseguire il piacere

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«È andato tutto a puttane da quando ti ho conosciuta»
«Te l’ho detto… perché non dovremmo cavarcela?»
«Ne sei sicura?»
«Io me la cavo sempre. Giuro».

Lo guardi una volta. Poi lo guardi di nuovo, con qualcosa che si agita dentro e non sai cosa. Quella camera a mano è ipnotica, si muove ondeggiando sui corpi come a baciarli. Ecco, una macchina a mano sinuosa, che ora lambisce le cose, ora le lascia; ora si posa, come un insetto, volando da un posto all’altro. Vediamo Leah, i suoi capelli biondi quasi bianchi, la sua espressione da brava ragazza. White Girl. Sotto casa sua si spaccia, la sera – anzi, il posto giusto è il tetto, proprio il tetto della casa nuova in cui si è appena trasferita. Leah è ha due passioni: i ragazzi e la cocaina. Li guarda dalla finestra, decide di scendere a farsi dare un po’ di roba.

Lui si fa chiamare Blue. Perché è sempre triste, dice. È lo spacciatore che sta sotto casa sua, e lo ritrova tempo dopo, per caso, in un drugstore lì vicino. Incominciano a parlare. Ha un’espressione buona, questo Blue, e lineamenti vagamente mediorientali sotto un cappellino da rapper. Non dimostra vent’anni, ed è proprio carino. Anche Leah è molto carina, e  averla incontrata significa per Blue poter vendere droga in centro a New York, significa un mucchio di soldi. Ma anche un mucchio di guai. Infatti, poco tempo dopo, Blue viene arrestato.

E qui avviene il cambiamento. A Leah rimane una grossa quantità di cocaina in mano. Venderla può significare pagare un avvocato, pagare i debiti di Blue e finalmente uscire da questa brutta storia. Incomincia così a venderla, facendosi aiutare da un’amica e dai colleghi di Blue. Ma i guai sono ben lontani dal finire: Leah verrà a contatto con la frode, con l’inganno, con la violenza, che lentamente pervadono il film e ne diventano l’invisibile motore.

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Potrebbe essere un film di Ken Loach, per il soggetto, per le strade di Brooklyn così simili ai sobborghi londinesi; eppure ha una impalpabilità che raramente si trova in Loach, e che rende buona parte del film davvero una piuma. C’è qualcosa che sfugge, che appare e scompare come un fuoco fatuo. Tutto è così inafferrabile, così semplice:è esattamente ciò che Calvino nelle Lezioni americane intendeva con “leggerezza”: una capacità di narrare in modo sciolto, preciso, felice nell’esposizione al tempo stesso incorporeo, pulviscolare, attento a tutto ciò che non può essere toccato.

Non vediamo alcun giudizio sulla droga, sugli atti di Leah e dei suoi compagni: Leah cerca il piacere, il godimento, il sesso che irrompe prepotentemente in tutto il film, e lo cerca in ogni istante, lo cerca anche quando sembra del tutto inutile, superfluo. Ne ha bisogno come di mangiare e dormire. Non cerca la droga per fuggire la noia, o per dimenticare qualche dolore o per chissà cos’altro. Cerca la droga perché vi trova piacere. E per quasi tutto il film non vediamo alcuna condanna di questo atteggiamento.

Ma Leah, inseguendo il piacere, trova l’amore. Non l’amore dei soliti poeti, quello cantato e ricantato da tutti, ma un amore diverso, l’amore di chi forse non ha nemmeno le parole per nominarlo. L’amore che nasce così e non si sa come. Ma è forte, così forte da far rischiare tutto. La ricerca del piacere diventa la ricerca di una salvezza per Blue, e in questo si gioca tutto il romanzo di formazione di White Girl: nel momento in cui Blue viene arrestato, il personaggio di Leah trova una direzione, smarcandosi da un’ingenua ricerca del godimento.

Ma White Girl è un romanzo di formazione incompiuto; anzi, un romanzo di deformazione: Leah svende tutto, anche se stessa, tradisce, mente, viene tradita e truffata, pur di raggiungere l’obiettivo – la libertà di quel ragazzaccio triste dal viso buono. E, alla fine, anche questo diventerà inutile. E qui, solo alla fine, comprendiamo quanto apparente fosse quella levità, quell’impalpabilità che aveva pervaso tutto il film, e ci risvegliamo, come da un lungo sogno.

Sembrava il solito film di sesso e droga, questo White Girl, e invece quella camera a mano oscillante ha disegnato, tra le luci delle discoteche e le strade di Brooklyn, un romanzo sul destino a cui non si può sfuggire, sulla vita, che, come la cocaina, un giorno ci illude, e il giorno dopo ci presenta il conto; una storia su ciò che si muove dentro di noi e non sappiamo mai cosa sia, sull’impalpabile linea di confine che separa il piacere da qualcos’altro, che ha a che fare con la vita, con quell’idea strana di divenire, un giorno, felici.


White Girl è un film statunitense del 2016 scritto e diretto da Elizabeth Wood, con Morgan Saylor, nel ruolo di Leah, e Brian Marc nel ruolo di Blue. È disponibile on demand su Netflix.

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Gabriele Stilli
Gabriele Stilli

In tenera età sono stato stregato da quelle cose che si scrivono andando a capo spesso, e gli effetti si vedono ancora. Mi sono rassegnato, da diversi anni, a includere l’arte tra le discipline umanistiche e non nel rigoroso ambito delle scienze. Nutro ancora qualche dubbio, però.