L’arte contro l’arte di Marcel Duchamp

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L’opera di Marcel Duchamp è da sempre permeata da un leggendario velo di incomprensione, proprio perché al suo nome è legata una delle operazioni più innovative ma allo stesso tempo demistificatorie del “fare arte”.

Ma quali sono stati i passi decisivi che lo hanno portato a compiere un percorso così rivoluzionario, che è possibile interpretare sia come critica nei confronti della produzione e della commercializzazione dell’arte, sia come risposta esauriente ai cambiamenti proposti dalla nuova epoca contemporanea?

Duchamp nasce innanzitutto il 28 luglio 1887, rientra quindi a pieno titolo nella generazione degli anni ’80 che ha racchiuso in sé le punte di diamante degli avanguardisti del primo Novecento, infatti l’artista è coetaneo ad esempio di Picasso e De Chirico.

A partire dal 1904 approda a Parigi. La città in questo primo decennio del Novecento risente di un clima fervido e proto-avanguardista, Fauves e Cubisti infatti stanno sperimentando rispettivamente un uso del colore e della strutturazione al di là di quanto non avessero fatto i loro predecessori[1]. Gli artisti in poche parole stavano elaborando quel passo decisivo che li avrebbe portati a ricreare un soggetto anziché riprodurne l’apparenza.

Duchamp si confronta con le innovazioni dell’epoca adattandole alla sua visione del mondo e ad uno stile di vita da “scapolo impertinente”.

Marchel Duchamp, Nudo che scende le scale n.2
Marchel Duchamp, Nudo che scende le scale n.2

Nudo che scende le scale n.2 fu il primo quadro che lo aiutò a concepire un nuovo approccio nel fare arte: lo espose al Salon des Indépendants nel 1912, ma fu accolto freddamente perché non corrispondeva alle aspettative del circolo cubista anzi, a causa del suo movimento intrinseco, venne addirittura giudicato “troppo futurista”.

Fu costretto a ritirare il quadro dall’esposizione, commentando: “Questa faccenda mi ha aiutato a liberarmi completamente del passato. Mi sono detto: Bene se è questo che vogliono non è proprio il caso che io mi unisca a un gruppo; bisogna contare solo su se stessi, bisogna essere soli.[2]

Nel 1912 ha 25 anni ed è quasi alla fine della sua carriera da pittore. Comincia a viaggiare di più, allontanandosi dai familiari circoli artistici parigini e al di fuori delle arti visive nel loro complesso, probabilmente influenzato anche dalla nascente amicizia con Francis Picabia.

È probabile che in questi mesi sopraggiunga definitivamente il dilemma su come porsi nei confronti dello sviluppo industriale dell’epoca e della sua intromissione all’interno della vita umana.“La pittura ha fatto il suo tempo. Chi saprebbe fare qualcosa di meglio di quel propulsore? Dimmi, lo sapresti fare?”[3].

Ottiene un lavoro da bibliotecario che gli fornisce la possibilità di studiare discipline scientifiche e conoscere un autore che ebbe per lui un’importanza rilevante: il matematico e fisico Henri Poincaré, le cui opere si soffermavano sui cambiamenti concettuali legati alla scoperta dei raggi X, della radioattività, dell’elettrone e delle sue leggi.

Marcel Duchamp, 3 rammendi tipo, 1913
Marcel Duchamp, 3 rammendi tipo, 1913

Nel 1913 avviene la rottura definitiva dall’arte così com’era stata concepita sino ad allora. Realizza uno strano oggetto e lo intitola 3 rammendi tipo. Non è una scultura o un dipinto, è una scatola che contiene un’idea, un’applicazione di questa idea e il principio che ne risulta.

Per realizzarla prende tre comuni fili lunghi un metro e da un’altezza sempre di un metro li lascia cadere su tre tele separate, dipinte in blu di Prussia. I fili, atterrando secondo le regole del caso, creano forme simili a onde. Li assicura alla tela ricoprendoli di vernice e taglia tre regoli di legno lungo i loro bordi longitudinali, così da riprodurre le linee curve dei fili. Nel 1936 decise di tagliare le tre tele dai loro tenditoi e incollarle invece a tre lastre di vetro che vennero poi sistemate in una scatola da croquet.

L’opera divenne così uno strumento con il quale misurare e creare altre linee.

Da qui il passo è breve nel dare rilevanza ad un oggetto esteticamente irrilevante. Nascono così i primi ready-made Pala da neve, Scolabottiglie oppure Ruota di bicicletta, attraverso le quali veniva eliminata la qualità individuale e artigianale dell’arte.

Negli anni questi suoi ready-made compresero anche materiali fluidi e gassosi come Aria di Parigi: ampolla di vetro rotta, vuotata e riparata da un farmacista parigino così da contenere aria di Parigi. Oppure lo stesso linguaggio, come la famosa demistificazione della Gioconda con baffi accompagnata dalla scritta L.H.O.O.Q che letta a voce alta in francese suona come “Ella ha caldo al culo”.

Marcel Duchamp, Sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche 1915-1923
Marcel Duchamp, Sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche 1915-1923

A mano a mano i lavori divennero più complicati, anziché comprare oggetti già fabbricati su cui apporre un’iscrizione e la firma, egli costruì prodotti o assemblaggi come Fresh Window. Questa oltretutto fu la prima opera che firmò con il nome del suo alter ego femminile Rrose Sèlavy, dove il gioco di parole “Eros c’est la vie” (Eros è la vita) o “arroser la vie” (berci sopra, celebrare la vita), indica un punto di vista che è alla base dell’intera opera duchampiana.

Nessuno può affermare con certezza quali eventi abbiano segnato lo sviluppo psicologico di Duchamp; riconosciuto come portante nelle sue opere è stato senza dubbio l’aspetto sessuale, usato sia come potenziale comunicativo sia come esperienza umana universale.

Idea che peraltro viene espressa molto chiaramente nella composizione che lo accompagnò dal 1915 al 1923: Sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche meglio nota come Il grande vetro, per via del materiale su cui è costruita.

Duchamp inventa i due regni, quello superiore della sposa e quello inferiore degli scapoli, attraverso marchingegni complessi che alludono alla sessualità femminile e maschile. I due mondi sono destinati a rimanere incomunicanti legati tra loro solo da un rapporto voyeuristico.

Duchamp ha trasformato quindi la pittura in un prodotto dalle strutture vitali del XX secolo confermando ciò che il poeta Apollinaire scrisse a proposito della sua arte: “Come un’opera di Cimabue fu fatta sfilare per le strade, il nostro secolo ha visto sfilare trionfalmente l’areoplano di Blériot, carico di umanità, di sforzi millenari, di arte necessaria. Forse sarà riservato a un artista così distaccato da ogni preoccupazione estetica, così preso dall’energia come Marcel Duchamp, il compito di riconciliare l’Arte e il Popolo.”[4]

Francesca Mavaracchio
Francesca Mavaracchio

Nata a Venezia nel 1992 e diplomata presso il liceo classico Marco Polo. Successivamente mi sono trasferita a Pavia dove ho conseguito la laurea in lettere moderne (indirizzo storico-artistico). Dopo la triennale ho scelto di spostarmi a Bologna per frequentare la magistrale in Arti Visive (indirizzo contemporaneo) dove tutt’ora studio. Il mio amore per l’arte contemporanea, è nato al liceo quando rimasi affascinata dall’opera di Lucio Fontana e dalle realtà che seppe costruire attraverso i tagli nelle tele. Da allora la mia curiosità verso il panorama artistico non si è mai esaurita, ed è stata in questi ultimi cinque anni il moto propulsore dei miei studi e delle mie passioni.