Juan Carlos Galeano, il ragazzo che colleziona lucciole

Juan Carlos Galeano Miriam Spadafora

Il ragazzo che colleziona ciottoli e lucciole
sogna pianeti e stelle…

…In camera sua, le lucciole rinchiuse nelle bottigliette
assomigliano a manciate di stelle in cielo.

I ciottoli sono pianeti la cui storia il ragazzo
dimentica tutti i giorni a scuola.

Così scrive nella poesia: Collezionista, il poeta Juan Carlos Galeano, nato nel 1958 nell’Amazzonia Colombiana.

Metafore e allegorie sono il suo pane quotidiano ma senza che queste appaiano artifici retorici. È la cultura indigena amazzonica, fatta di misticismo animistico, che il poeta conosce molto bene e utilizza nelle sue poesie. Sono storie con le quali Juan Carlos è cresciuto, quando da ragazzino, come dice in un’intervista, preferiva bighellonare per il fiume ad ascoltare le storie dei pescatori indigeni, che seguire il padre e i membri della sua comunità a costruire ponti e ad abbattere alberi.

Nel 1983 Juan Carlos Galeano si è trasferito negli Stati Uniti e da allora vive e insegna Letteratura Spagnola presso l’Università statale della Florida.

Nel 1995 ha deciso d’intraprendere una serie di viaggi di ricerca e studio in terra Amazzonica, da cui nel 2005 sono nate le antologie di miti Cuentos amazonicos, nel 2008 i Folktales of Amazon e un documentario: The Trees have a Mother nel 2007.

danilo alves

Le opere letterarie, scaturite da questa ricerca, hanno uno scopo antropologico, perché recuperano e rendono vive le tradizioni e le cosmogonie millenarie del Rio delle Amazzoni e non solo, perché il lavoro di recupero che il poeta e lo studioso Galeano fa, è utilizzato anche per denunciare il disboscamento selvaggio della Foresta Amazzonica, polmone del mondo intero; per denunciare il prosciugamento lento e inesorabile del grande Rio delle Amazzoni, chiamato dagli indigeni, Yakumama, Grande Madre, a causa dell’innalzamento della temperatura globale.

Yakumama è in pericolo, e con lei tutti noi, perché come i delfini d’acqua dolce e le altre specie animali sono minacciate dall’inquinamento e dal surriscaldamento, così siamo minacciati noi umani, autori di tanto scempio.

Non rimane altro che collezionare ciottoli e lucciole, come fa il ragazzo della poesia, il collezionista, o meglio il poeta, e noi con lui.

Yakumama è il titolo dell’ultima silloge poetica di Juan Carlos Galeano, che in Italia purtroppo non abbiamo ancora il piacere di leggere, se non in una selezione proposta dalla rivista Poesia 314 di Aprile 2016 di Crocetti Editore, tradotti da Danilo Manera, che ho avuto la fortuna di leggere e da cui ho tratto le poesie e i versi proposti.

Juan utilizza spesso il distico, ossia la coppia di due versi lunghi e discorsivi per strofa, dove la retorica ha il passo leggero del vento, dove gli uomini diventano figli di oggetti e amano fiumi e alberi.

Una canoa che ha dato alla luce un uomo lo lascia su una spiaggia
E continua per la sua strada.

L’uomo piange la madre crudele che si allontana remando.

[…]

La canoa non può consolarlo perché deve lasciare altra
gente in altri posti.

andres medina

La canoa, antica imbarcazione, per effetto della personificazione sensistica, assume più ruoli, perché diventa madre, al pari dell’acqua del grande fiume, che dona e toglie la vita agli esseri viventi; ma è al contempo simbolo dell’ingegno umano, che ci permette di lambire il sublime e causa della nostra rovina.

L’uomo piange come qualunque neonato.

I versi, di cui sopra, sono tratti dalla poesia Canoa.

Galeano personifica gli elementi della natura e li mette in relazione con gli esseri umani in maniera curiosa e allegra, così come nella poesia Ragazza, di cui vi riporto i primi quattro e gli ultimi due versi:

Una ragazza che fa il bagno in un fiume finisce per innamorarsene.

I suoi genitori vorrebbero sposarla a un’automobile; meglio
Cercarle un altro marito, toglierla a quel fiume.

[…]

Ma la ragazza fila via, nessuno sa verso dove, tra le
braccia del suo fiume.

Sono poesie che suscitano un’ilarità bonaria, ma che leggendole e rileggendole si lasciano scoprire e ridiamo meno. Quel fiume e quella ragazza si fondono e diventano tutti noi, il nostro istinto tramortito dalla modernità che fugge in cerca d’acqua, perché l’acqua è l’elemento prioritario per la vita.

In questa fuga-abbraccio c’è il grido disperato del poeta per lo scempio perpetrato dall’uomo per inseguire i propri disegni perversi, rappresentati da quei genitori che vorrebbero sposare la ragazza a un’automobile, emblema di una società dei consumi, cui tutto è asservito, finanche l’amore.

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È il sentimento più profondo che lega l’uomo alla natura quello che emerge prepotente dai versi di Galeano, dove c’è «Un uomo innamorato di un albero va a convivere per/ un po’ con lui prima di sposarsi», incipit della poesia Albero, nella quale con il sapiente uso della favola, il poeta racconta di come l’umanità si sia allontanata dalla natura, di cui l’Albero è il rappresentante. Oppure le case della città di Leticia, che decidono di andare a fare un giro, lasciando sgomenti i suoi abitanti: «Un giorno gli abitanti di Leticia si svegliano senza le proprie/case e devono andare a cercarle», inizia così la poesia Case,  in cui le case diventano la trasposizione delle nostre vite condizionate e appiattite, che hanno perso il piacere del gioco e della semplicità.

Vi lascio con i primi quattro e gli ultimi due versi della poesia L’amore delle montagne è una cosa seria, una poesia davvero intensa, dove l’amore ha la natura come protagonista.

Natura che è madre e non matrigna, sorella, amante; che è fedele, che chiede amore e rispetto.

La Montagna è la natura che si presta, per effetto della metafora linguistica, a un paragone con «la montagna di soldi e di panni da lavare», simbolo delle preoccupazioni e dei vili sentimenti degli esseri umani.

Le montagne amano a qualunque età. Una montagna con
milioni di anni si innamora di una persona di venti.

Una montagna addormentata aspetta per migliaia di anni
un bacio da chiunque.

[…]

(Le montagne di soldi e di panni da lavare non provano
gli stessi sentimenti)

 

In copertina: illustrazione di Miriam Spadafora


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Silvia Leuzzi
Silvia Leuzzi

Ho un diploma magistrale e lavoro come impiegata nella scuola pubblica da oltre trent'anni. Sono sposata con due figli, di cui uno disabile psichico. Sono impegnata per i diritti delle persone disabili, delle donne e sindacali. Scrivo per diletto e ho al mio attivo tre libri e numerosi premi di poesia e narrativa.