Ghirlanda di Mattotti e Kramsky: grandiosi ghirigori

Ghirlanda Lorenzo Mattotti

Oltre i sospiri delle nubi, tra gli orizzonti del crepuscolo, si stende la terra di Ghirlanda.
Le sue vaste piane e i morbidi pendii sembrano trattenere la luce, il clima è mite.
Laggiù da tempo immemorabile vivono i Ghir, un popolo di esseri pacifici,
che amano contemplare le magie del territorio con il loro stupore di bambini antichi.

Partiamo da un presupposto: i «bambini antichi» in questione sono dei trichechi antropomorfi completamente nudi con delle setole di Grande Pennello Cinghiale™ a mo’ di barba[1], degli arti sproporzionatamente piccoli rispetto al loro arrogante girovita e delle simpatiche codine affusolate.

Già.

Ora che ci siamo levati di torno la doverosa premessa: Ghirlanda è una graphic novel del 2017 scritta da Fabrizio “Jerry Kramsky” Ostani e disegnata da Lorenzo Mattotti, vincitrice del Premio Gran Guinigi[2] all’ultima edizione del Lucca Comics & Games come Miglior Graphic Novel. Oltre 400 pagine, frutto di 10 anni di lavoro, lungo le quali i testi intrisi di poesia di Kramsky e i sapienti bianchi e neri di Mattotti delineano una grande vicenda, una storia dai risvolti mitici.

È un mondo allo stato brado, quello di Ghirlanda, ricoperto da una flora surreale e abitato da una miriade di creature uniche. Ghir-landa, «terra dei Ghir»: è questo il significato del suo nome. E di un simile universo i boteriani bipedi costituiscono invero la componente “umana”. La loro è una società primitiva, contenta di una sussistenza di base e fedele alla ciclicità dei suoi riti, che mantiene uno stretto contatto con una natura densa di spiriti e guardiani.

ghirlanda mattotti kramsky

I ghir sono uomini puri e ingenui, assisi in un Eden che permane inviolato dal Peccato originario. La vita non li ha ancora messi alla prova, non ha ancora provveduto a flagellarli con catastrofi apocalittiche o tentarli con falsi idoli.

Ancora.

È un universo che sembra respirare in egual misura della fiaba e dell’allegoria, il loro, della spensierata leggerezza dei fumetti infantili[3] come dei più feroci miti di creazione e distruzione, delle metafore violente con cui l’uomo – pardon, il ghir – si approccia a ciò che non conosce, a ciò che ritiene sproporzionato rispetto a sé. Tra avventura di deliziosa naïveté, viaggio iniziatico gradualmente aperto alla conoscenza e attesa messianica di qualcuno in grado di cambiare lo stato vigente delle cose, Ghirlanda applica forme e figure frutto di secoli di narrazioni e archetipi umani a un mondo che umano non è: e men che meno antropomorfo.

Divinità protettrici di una natura personificata, tentatori diabolici della volontà dei singoli, psicopompi poco rispettosi delle anime dei defunti loro affidate, mostri apocalittici rilasciati contro il mondo per porvi fine: con queste e altre entità i ghir hanno a che fare, sono costretti a misurarvisi come con pilastri inamovibili della loro esistenza. È un reale che accetta i nostri topoi, ma che li trasforma e ne fa istanze ben più familiari agli autoctoni di quanto, ormai, non accada nella nostra società.

Il lettore è uno straniero in terra d’altri, e deve accettare le bizzarre convenzioni e gli altrettanto bizzarri abitanti del paese che ospita la sua lettura come gli vengono presentati, correlati solo da saltuari sprazzi di introduzione diegetica: il maestoso Uccello del Fato, il loquace Muso Stropicciato e il burbero Monte Rauco sono parte integrante dell’universo narrativo. Creature, peraltro, strane abbastanza da poter essere confuse con le entità oniriche prodotte dalle visioni intrise d’aromi che conducono gli sciamani ghir ancora più in là, in luoghi ancora più bizzarri di quello che abitano.

Ghirlanda Mattotti

Realtà e fantasia si mescolano senza soluzione di continuità, in Ghirlanda, rendendo quanto mai labile il confine che le separa e dando vita a un mondo dove l’allegoria convive con la quotidianità in inscindibile simbiosi, in reciproca attribuzione di significato.

E il sincretismo delle cognizioni e delle influenze di Kramsky si estende anche alla matita di Mattotti, spingendola verso uno stile ibrido di suggestioni differenti: ora semplice e sobrio, teso a una stilizzazione quasi infantile, ora affollato a dismisura di linee vorticose e opprimenti. Certi pannelli vantano la densa corposità delle stampe giapponesi che già ispirarono Van Gogh e l’800 europeo; altrove parentesi spensierate sono affidate a un’immediatezza da striscia umoristica. Le grandi scene di massa, poi, sono dominio di fantasmi, affollate di spettri partoriti dalle più recondite zone dell’anima in un’esplosione di linee e forme che non può lasciare indifferenti.

È una grande mano, quella di Mattotti, che coi suoi sapienti ghirigori delinea un mondo di fantasia in tutta la sua travolgente realtà.

Ed è un tuffo nell’infanzia, Ghirlanda, sempre memore del trampolino della maturità da cui spicca il salto.

Non lasciatevelo scappare.

Non vi deluderà.

 


Questo articolo è stato inserito nel catalogo del COMICON​, il Salone Internazionale del Fumetto di Napoli, del 2018, che ringraziamo di cuore.

Vorrei inoltre ringraziare Gabriele, Salvatore, Erica, Nicholas e Matteo per avermi fornito l’oggetto della recensione di oggi.
Grazie, ragazzi.
Avete diritto a foto randomiche di roditori o altri animaletti dalla graziosa facie (da consegnarsi in privata chat).

davide cioffrese
Davide Cioffrese

Eclettico nella mia conoscenza del nulla, narcisista nella misura in cui il mio ego non incontra quello degli altri, più sensibile agli attacchi emotivi di opere fittizie che a quelli del libro/film/ videogioco chiamato “vita” (aspetto alquanto allarmante). Tento di approcciarmi al mondo nella maniera più amichevole possibile, ma se di dovere (e, talvolta, a sproposito) non mi faccio scrupoli ad attaccarlo con eguale ferocia. Salvo poi, magari, sentirmi dispiaciuto al riguardo. Non aspettatevi che lo confessi, comunque. Jack of… some trades, master of none… in particular.