Gertrud Kolmar: «…tu che leggi fa’ attenzione»

Manuel Rodriguez Lozano, L'olocausto, 1944

Mi tieni nelle tue mani.
Il mio cuore batte nel pugno come quello
di un uccellino. Tu che leggi fa’ attenzione,
ecco, sfogli una persona.

Ma se per te tutto questo è soltanto carta,
carta stampata e colla, allora resterà muto
e non ti colpirà il suo grande sguardo
che indaga dai segni neri,
ed è solo una cosa e ha il destino di una cosa.

Accostarsi alla poesia non richiede particolare cultura, ma rispetto. Come dice Gertrud Kolmar, «tu sfogli una persona».

Gertrud Chodziesner, poetessa tedesca di origine polacca, è nata a Berlino nel 1894 da una famiglia ebrea benestante. Kolmar è lo pseudonimo che userà per pubblicare, che in tedesco è il nome della città polacca Chodziez, da cui proviene la sua famiglia.

Il padre è un noto avvocato berlinese, appassionato di letteratura, deve a lui la pubblicazione del primo libro di poesie, uscito a Berlino nel 1917. Si diploma e lavora come traduttrice, ha una spiccata versatilità per lo studio delle lingue, parla e scrive correttamente inglese, francese, russo ed ebraico. Si cimenta con la traduzione di autori come la Dickinson, Verlaine, Rimbaud, i cui stili li ritroveremo sapientemente omogeneizzati nel suo verso limpido e surreale.

Visionaria, lucida e razionale: tante anime si agitano in un corpo minuto dalla mente brillante e precoce. Tra il 1927 e il 1932 scrive e pubblica le sillogi Mio Figlio, Ritratto di donna e Sogni d’animali. Lavora a testi teatrali e saggi, molti dei quali andranno perduti a causa del nazismo. Ci restano in tutto 445 poesie, due drammi e un racconto: Susanna e le lettere alla sorella Hilde.

È un’intellettuale indipendente che non seguirà nessuna corrente poetica del tempo e questo consentirà alla sua lirica di spaziare e di sperimentare.

La poesia è l’anima sfogliata del poeta, che entra in simbiosi con il creato e ascolta il suo lamento; è la filosofia che si fa canto per scuotere e accarezzare la mente; è la certezza della nostra insensata superbia.

La poesia Terra, di cui ho trascritto alcuni versi, colpisce per la contemporaneità e la lucidità delle sue parole e sembra ricordarci, caso mai l’avessimo dimenticato, che l’essere umano non evolve, gira e rigira come un criceto sulla ruota della storia con l’arroganza di un padrone despota e ottuso.

Frida Kahlo, Radici, 1943
Frida Kahlo, Radici, 1943

La terra languisce di anno in anno
come una madre che i figli non curano.
Essi disprezzano i suoi spettrali, arruffati capelli,
i suoi modi pazzi e antiquati.

Il veleno ha corroso la sua fronte fiorita,
una selvaggia attività altera il suo sguardo
la lebbra delle città ha stracciato il suo corpo,
le rotaie la tengono stretta, legata.

E tutti i fiori nei solchi sono calpestati
e tutti i bordi variopinti gualciti
e i begli animali che un tempo l’avevano ornata,
fragili e pallidi si sono dispersi.

Anch’io non ho più le mani e nemmeno
l’animo più per servirti, davanti
a questo nuovo, ambizioso volto,
a questo duro, imperioso aspetto.

io posso solo fare come gli altri
che non ti vedono, non ti onorano,
io creatura del vento dell’oggi e dell’ora

Un momento tuttavia voglio tornare indietro.

[…]

Il riferimento alla particolare condizione storica è evidente, ma la poesia è grande quando sa superare le barriere del tempo.

Gertrud trascorre una spensierata infanzia e adolescenza, grazie alle condizioni economiche agiate della sua famiglia. Durante la prima guerra mondiale conosce un uomo, probabilmente sposato, con il quale ha una storia d’amore, contrastata dalla famiglia.

È costretta ad abortire per evitare uno scandalo alla famiglia e tenta il suicidio nel 1916, così come successe alla nostra Antonia Pozzi, ma la Kolmar sopravvivrà ed elaborerà in poesia il suo dramma.

Dove attende quella che ti ha partorito
come sorride quella che ti ha cullato,
che piegò sospesa una foglia rugiadosa
attorno al tuo germoglio…

Gertrud Kolmar
Gertrud Kolmar

Un bambino è una delle tante poesie in cui Gertrud nomina il bambino mai nato. Lo fa in terza persona come se attraverso la poesia potesse vedersi meglio, riflessa in uno specchio senza contorni e senza occhi vuoti. A volte usa la forma diretta come in Creazione, un’altra lirica molto lunga di cui vi trascrivo i primi e gli ultimi due versi:

Oh, sei bello. Perché inconsapevole non feci
il fulgido corpo col mio sangue. […] […]- Tu non mi lascerai mai,
mio caro figlio. Io non ti ho concepito …

Parlare del figlio è però un espediente poetico per parlare dell’Uomo come figlio di un creato di cui è ingrato.

Io sono il rospo.
E amo le costellazioni della notte.
Il rossore alto della sera, appena
acceso, si gonfia in stagni purpurei. […]

Spesso Gertrud Kolmar parla di animali nei suoi versi, perché rappresentano la purezza e l’espressione più alta della spiritualità e sono un ottimo espediente per parlare della vita, rovinata da uomini “despota”, che nel suo tempo e nella sua Germania sta prendendo la forma mostruosa della distruzione.

L’animale, che vi invito a leggere tutta, è tutto il mondo animale che parla all’Uomo, alla sua storia presente, passata e futura.

Vieni qui. Guarda la mia morte, guarda questo eterno patire,
L’ultima onda si perde tremando sul mio pelo,
Sappi che il mio piede aveva delle artigli, sfuggente era e debole,
Non chiedere chi sono io, lepre, scoiattolo, topo.

Perché non importa. Sempre ti voglio male o bene;
Ti chiami despota, inventi leggi,
Confezionati sulle tue membra come un mantello, un cappello.
Entro le mura della città tua abbracci e offendi lo straniero.

Gli uomini che un tempo facesti a pezzi: sulle loro tombe muto ti sdrai;
Per tanta sofferenza diventarono santi, chiusi in un marchio d’oro.
Porti la pelle della madre morta e in essa avvolgi il tuo bambino,
Gli regali giochi che nacquero dalla fronte insanguinata dei torturati […]

Manuel Rodríguez Lozano, Fatigados, 1942
Manuel Rodríguez Lozano, Fatigados, 1942

La Kolmar vive a Berlino in una casa molto bella con i suoi genitori, la sorella Hilde e il fratello, che dovrà abbandonare quando il nazismo, salito al potere, cominciò il suo programma di distruzione della razza ebraica. La madre morirà prima delle persecuzioni razziali, il fratello e la sorella Hilde fuggiranno in Svizzera. Lei resterà accanto al padre, anziano e debilitato che non vuole lasciare la sua terra.

Fino a quel momento Gertrud si era sempre considerata un’atea, nonostante la famiglia osservante e praticante. La reclusione nel ghetto, il lavoro forzato in fabbrica e la convivenza in spazi ristretti con altri ebrei, l’indussero a studiare meglio le sue origini culturali. Non si tratterà di un riavvicinamento al culto religioso, ma di un senso di appartenenza a tutto ciò che è diverso ed emarginato, come scrive nella poesia L’ebrea.

Sono straniera
Poiché la gente non osa avvicinarsi a me,
voglio cingermi di torri,
che portano erte berrette di pietra grigia
fin entro le nuvole. […]

Molte delle sue opere andarono distrutte dalla repressione nazista, si salvarono le lettere che Trude, come si firmava affettuosamente, inviava alla sorella Hilde. Sono considerazioni molto profonde sull’essenza della vita, sulla dignità umana da proteggere, sulla libertà del pensiero.

Queste lettere mettono in evidenza la personalità della Kolmar, il suo spessore morale, la sua coerenza nelle scelte fatte, che giuste o sbagliate accetta senza rimpianti.

Mia cara Hilde

Se non avessi le esperienze che invece ho vissuto, sicuramente sarei d’accordo con te sulla delusione che «sta in agguato», sull’illusione e la realtà; e per molte donne, forse per la maggior parte, parlo di donne sensibili e forti d’animo, vale quello che tu dici. Invece per me… Mi credi se ti scrivo qui: «Non sono mai stata delusa» e «la realtà è sempre impensabilmente più bella di tutte le illusioni?». Mi credi? Per me è stato così.

Non voglio dire con questo che non mi sono mai sentita infelice, che non ho mai provato dolore. Anzi sono stata molto, molto infelice, ho sopportato anche dolori molto forti e profondi che però ho anche amati come una futura madre può amare i tormenti con i quali viene benedetta dal proprio figlio. Ma tutto questo io l’avevo intuito già prima, l’avevo previsto e sopportato in anticipo, conoscevo il prezzo altissimo che avrei dovuto pagare, quindi delusioni per me non ce ne sono state. […]

(stralcio da una lettera alla sorella datata Berlino 1/2/1942)

Manuel Rodríguez Lozano, La rivoluzione,1944-45,
Manuel Rodríguez Lozano, La rivoluzione, 1944-45,

Gertrud Kolmar fu deportata ad Auschwitz nel 1943 e il suo corpo non fu mai ritrovato. Quest’autrice oltre a non aver avuto neppure una «illacrimata sepoltura», per rubare la magnifica espressione al nostro amato Foscolo, è stata per moltissimi anni pressoché sconosciuta all’estero e poco letta anche in Germania.

In Italia dobbiamo ringraziare Giuliano Pistoso che ha tradotto per la piccola casa editrice Essedue di Verona: Il canto del Gallo Nero (1990: una scelta tra testi poetici e le lettere a Hilde); Susanna (1992); Notte (1994: pièce teatrale inedita). Invitandovi ad approfondire quest’autrice, concludo questa chiacchierata con alcuni versi tratti dalla poesia L’8 Termidoro, che fa parte di un ciclo di poesie giovanili dedicate a Robespierre, ancora così sorprendentemente attuali:

Che cos’è la virtù ? Che cosa ne sapete voi,
voi – le mani sporche tuffate nel denaro ?
Voi comprabili che il disgustoso verme ha divorato,
[…]

Che cos’è per voi l’amore. Un affare di donne…
Non quella sacra follia che ci fa contemplare nella patria
l’immagine più bella dell’umanità,e onorarla. Deridete i puri vincoli di solidarietà
con il povero, con il servo;
le vostre azioni sono delitto e diventano crimine infame.
[…]

Io lo so: voi negate la vita immortale.
Il Creatore ha voluto un giorno che ne foste privi
e vi ha dato gambe, carne e il Niente.

Siete stati imbrogliati. Io… a me ha dato un’anima…

 

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Per approfondire:
Rivista Poesia di Crocetti n.319 di ottobre 2016
Gertrud Kolmar, su Enciclopedia delle Donne
Giorgio Linguaglossa, Una poesia di Gertrud Kolmar (1894-1943) Traduzione di Adelmina Albini e Stefanie Golisch, su L’ombra delle Parole.
Emily Dickinson e Gertrud Kolmar: due poetesse a confronto, a cura di Vezia Rode.
Articolo di Valeria Consoli su ItaliaLetteraria.net
Dal sito della Provincia di Arezzo una mostra/convegno “Gertrude Kolmar – La straniera“, prefazione di Carlo Bezzi

Silvia Leuzzi
Silvia Leuzzi

Ho un diploma magistrale e lavoro come impiegata nella scuola pubblica da oltre trent'anni. Sono sposata con due figli, di cui uno disabile psichico. Sono impegnata per i diritti delle persone disabili, delle donne e sindacali. Scrivo per diletto e ho al mio attivo tre libri e numerosi premi di poesia e narrativa.